La rendicontazione di sostenibilità: da compliance normativa a leva trasformativa
Secondo una ricerca realizzata da KPMG, 80 società su 100 dichiarano di avere un piano di sostenibilità e solo il 37% ne indica l’integrazione con il piano industriale

A poco più di un anno dall’entrata in vigore della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), KPMG ha condotto una survey su un campione di 100 società italiane che hanno predisposto la Rendicontazione di Sostenibilità relativa all’esercizio 2024 utilizzando i Principi di Rendicontazione ESRS, di cui 91 quotate e 38 (di queste 91) appartenenti al FTSE MIB, operanti nei settori dei beni di consumo, dell’industria, della finanza e dell’energy e utilities. Dallo studio si evidenziano alcune tendenze significative: i report di sostenibilità risultano mediamente più lunghi rispetto alle precedenti Dichiarazioni Non Finanziarie (157 pagine contro circa 100), e 15 società – di cui 6 del settore finanziario – hanno scelto di affiancare alla rendicontazione obbligatoria un report volontario. Una scelta strategica per comunicare in modo più accessibile a stakeholder non tecnici e rafforzare il proprio posizionamento in ambito sostenibilità.
I Piani di sostenibilità si diffondono sempre di più nelle società italiane, sono 80 quelle che dichiarano di esserne provviste, ma solo il 37% ne evidenzia la piena integrazione con il Piano industriale. Inoltre, sebbene il 76% degli obiettivi riportati nelle Rendicontazioni di Sostenibilità siano target misurabili, rimane elevata la quota di società che non ha definito obiettivi per almeno un tema rilevante. Questi sono alcuni dei risultati della survey di KPMG presentata durante il webinar organizzato da Nedcommunity dal titolo “Il ruolo della Governance nel nuovo sistema di reporting e controllo di sostenibilità”.
In ambito governance, “si era discusso molto in fase iniziale sul ruolo del dirigente preposto, che deve attestare la rendicontazione di sostenibilità – ha spiegato Lorenzo Solimene, Partner KPMG Sustainability & Climate Change Services, presentando i risultati della ricerca -. Nel 90% dei casi la figura è stata ricoperta dal dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari. Nel restante 10% il ruolo è stato assegnato al Chief Sustainability Officer. Un’altra evidenza è quella del ruolo dei comitati. Nel 94% dei casi è presente un comitato di sostenibilità e nel 70% dei casi si tratta di un comitato endo-consigliare. Inoltre, con la CSRD, si sta rafforzando in maniera strutturata il sistema di controllo sull’informativa di sostenibilità”.
In tale contesto, la sfida per le imprese è continuare a investire nella sostenibilità, integrandola nelle strategie di pianificazione e controllo e promuovendo, al contempo, processi innovativi e trasformativi, che vadano oltre la compliance normativa. I risultati della survey mostrano che il cambiamento è iniziato, ma serve ancora un forte impegno per trasformare la rendicontazione in uno strumento strategico e integrato.
Assetti organizzativi centrali
“Nell’applicazione della CSRD la governance, per le nuove responsabilità e la sempre maggiore sensibilità al tema, ha avuto un ruolo molto importante e si è discusso molto di assetti organizzativi, di nuove funzioni aziendali – ha spiegato Patrizia Giangualano, vicepresidente e membro del Consiglio direttivo di Nedcommunity -, di dove collocare la funzione e se la sostenibilità avesse veramente raggiunto un livello tale da essere parte integrante di tutte le attività che si svolgono all’interno dell’azienda. I risultati sembrano indicare un’effettiva integrazione, anche se ci troviamo di fronte ad una deregulation che sembra abbastanza importante”. Certamente la semplificazione aiuterà le aziende ad una rendicontazione più semplice senza interrompere il percorso virtuoso avviato.
Patrizia Tettamanzi, professoressa ordinaria di Economia Aziendale e Sustainability Management in Liuc – Università Cattaneo, ha sottolineato come “alla base di tutto c’è sempre la cultura della sostenibilità. La sostenibilità ha origine dal credere nella cultura e in una strategia che porta poi a formulare dei piani che devono partire da un concetto di generazione di valore. Trasmettere la cultura ESG, a livello finanziario, significa anche selezionare i cosiddetti stakeholder sulla base di determinate caratteristiche. Non dimentichiamoci, poi, che è molto complesso gestire le tre componenti dell’ESG. Non è solo aderire alla normativa, gli interventi sono su più lati: quello della Governance, quello dell’Ambiente e tutta la parte del sociale, tutti di estrema rilevanza per una crescita sostenibile”.
“Noi siamo una media azienda, per noi l’obbligo è stato rimandato a tra due anni e devo dire che da imprenditrice, sognatrice, innamorata di sostenibilità, sono un po’ delusa – a parlare è Michela Conterno, Ad di Lati S.p.A. -. Perché noi ci eravamo mossi prima, ci sentivamo pronti, e quindi c’è stata un po’ di delusione da parte nostra. Questo posticipo, però, potrebbe dare un vantaggio competitivo alle aziende che si differenziano su base volontaristica. E la speranza è che questo studio che sta facendo EFRAG vada veramente verso una semplificazione, perché tra le piccole e medie imprese c’è grande preoccupazione. Si sentono soffocate dalla burocrazia. Vedono nella sostenibilità un ulteriore elemento di burocratizzazione”.
Indipendenti sempre più ricercati
Sul fronte della Governance Lati racconta una scelta quasi rivoluzionaria: “Siamo una società Benefit, con un rating di sostenibilità molto alto e abbiamo deciso di aprire il nostro Cda a tre consiglieri indipendenti. Una scelta che per le società famigliari non è così comune. Abbiamo 8 membri di cui il 62% donne. Abbiamo lavorato anche sull’età media, proprio per creare la massima diversità di pensiero per migliorare le decisioni. E proprio con Nedcommunity stiamo facendo un ottimo lavoro per la mappatura dei rischi, con il comitato Rischi che confluirà poi nel comitato Sostenibilità. Tenetevi pronti, perché le aziende famigliari stanno aprendo i loro consigli di amministrazione e ho sentito tanti colleghi imprenditori che si sono interessati al nostro caso e mi hanno confidato che sarebbero interessati ad avere consiglieri indipendenti”.
Un esempio di quello che è uno degli obiettivi della nuova presidenza di Nedcommunity: lavorare tantissimo sul tema del consigliere indipendente anche per piccole e medie imprese.
Sabrina Bruno, professoressa Ordinaria di Diritto Commerciale, membro del direttivo di Nedcommunity e di Chapter Zero Italy, ha ricordato che i primi comitati di sostenibilità in Italia furono costituiti nel 2015, all’indomani della Direttiva sulla dichiarazione non finanziaria. In un primo momento non era chiaro quali fossero le competenze. “Oramai la sostenibilità è al centro della strategia di molte società. Con riferimento specifico al cambiamento climatico (che è uno dei fattori c.d. ESG) – ha detto Sabrina Bruno -, mi soffermo sui piani di transizione energetica. Dal rapporto di KPMG risulta che delle 100 società del campione, solo 52 hanno approvato dei piani di decarbonizzazione. E solo nell’82% di queste 52 società il Cda ha approvato il piano. Trovo che dal punto di vista della governance, e prima ancora del diritto societario, questo risultato sia sorprendente: i piani di transizione energetica riguardano la strategia e perciò devono essere approvati dal consiglio di amministrazione che ne è responsabile. Un altro tema è se le società destinatarie della CSRD e del Regolamento N. 2023/2772 abbiano l’obbligo di adottare un piano di transizione energetica. Da questo punto di vista, assistiamo ad una discrasia tra CRSD e Regolamento: la prima sembra prevedere un obbligo perentorio; il regolamento, invece, introduce elementi di discrezionalità per gli amministratori. Certamente l’eventuale scelta di un cda di non adottare un piano di decarbonizzazione, soprattutto a fronte dell’individuazione nel rapporto di sostenibilità di rischi, impatti positivi o negativi, opportunità legati al clima, deve essere debitamente motivata con giustificazioni ragionevoli. Gli amministratori, non dimentichiamo, hanno un obbligo di diligenza”.