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Se le quote rosa nei CDA ce le chiede l’Europa

Il 20 giugno si è costituito un gruppo di lavoro spontaneo e indipendente costituito da analisti finanziari di diversa provenienza, particolarmente sensibili ed impegnati su questo tema. Del gruppo fa parte anche Livia Amidani Aliberti, esperta di governance e gender diversity e membro del Comitato Scientifico di Nedcommunity che apre questo numero con un articolo di commento alla Legge Golfo-Mosca.

Il gruppo in questione ha inaugurato l’apertura del suo  blog, http://www.linkedin.com/groups/Se-le-quote-rosa-nei-127008/about, pubblicando una bella intervista al Presidente di Nedcommunity che riprendiamo qui di seguito.

Foto di Rosalba Casiraghi

Rosalba Casiraghi 
Presidente di Nedcommunity

La premessa del blog è la seguente:

Ormai è un dato appurato: le società con donne ai vertici vanno meglio di quelle condotte da soli uomini. Eppure le stesse società, che farebbero qualsiasi cosa pur di massimizzare i propri profitti, non fanno l’unica cosa che farebbe loro del bene: aprire le porte al gentil sesso. Nelle stanze dei bottoni ci sono sempre e solo maschi.” 

Intervista a Rosalba Casiraghi 

Perché le donne nei CDA? Perché i CDA si sono configurati come “cigar club” maschili?

Nella stragrande maggioranza dei casi nei consigli si entra per una sorta di cooptazione, perché si fa parte di una, chiamiamola pure, casta. C’è ora in atto un cambiamento, ma i criteri di scelta degli amministratori sono ancora legati più alla “fedeltà” verso chi ha il potere di eleggerli piuttosto che alla loro competenza ed indipendenza. I consigli sono ancora pieni di quelli che chiamo gli “innocui”, quelli che non danno fastidio e talvolta fanno finta di niente di fronte alle così dette “estrazioni di benefici privati” da parte di azionisti di controllo e manager. Portare donne nei CdA serva a rompere gli schemi. Le donne sono estranee a questa cerchia ristretta e possono essere un motore di cambiamento.

Quale è stato il primo CDA del quale hai fatto parte?

Ho visto molti consigli, Pirelli, Telecom, Intesa Sanpaolo e molti altri di settori fra loro diversi, finanza, abbigliamento, alberghiero, tecnologie, infrastrutture e tutti hanno arricchito la mia conoscenza.

Ci puoi raccontare cosa ti ha portato a questo incarico?

Ho avuto la fortuna di essere scelta, come primo incarico nel collegio sindacale di Pirelli, dai fondi d’investimento, una dozzina d’anni fa, quando la legge ha aperto alle liste di minoranza l’accesso agli organi societari. Una grande conquista, ovviamente contrastata da molti. Non è stato semplice farmi selezionare. Nonostante un curriculum non inferiore ad altri candidati, la risposta era: ma non la conosce nessuno. Al primo giro sono stata scartata. Non so come (chi mi conosce mi considera una tipa riservata e diciamo pure timida), ma era tale la rabbia che ho preso il telefono e ho detto: beh non mi conoscete? Vengo a presentarmi. E da allora è stato tutto semplice.

Hai dovuto conciliare la vita professionale con la famiglia? Se si, come?

Non ci sono differenze particolari nel lavoro delle donne, qualunque sia l’occupazione tutte fanno fatica, e molte più di me, a conciliare famiglia e lavoro ed a non farsi venire sensi di colpa. Specie per la mia generazione dove, fino dalle elementari, ai maschi si insegnavano le “applicazioni tecniche” ed alle femmine l’ “economia domestica”.

Sei considerata una delle trenta donne più potenti dell’economia Italiana, qual’è la chiave del successo?

Sgombriamo subito il campo: non sono affatto potente, proprio per niente. Vedi, se fossi maschio, non sarei stata messa – pardon, messo – forse neanche fra i primi mille. Dato che le donne finora sono poche, è stato piuttosto facile ottenere consenso di pubblico.
Cosa fare per affermarsi? Quando si è una mosca bianca bisogna impegnarsi di più e questo aiuta, perché ci si prepara di più: non si può, come si dice, farsi prendere in castagna. Impegno e tenacia. E non essere mai arroganti (difetto per il momento ancora poco diffuso fra la donne) e questo porta in modo naturale a diventare un punto di riferimento. Che poi non è lo stesso ruolo delle donne in famiglia?

Quali competenze e percorso professionale suggeriresti ad una giovane collega?

Se si vuole entrare nei consigli d’amministrazione, qualunque sia il percorso universitario, bisogna poi imparare discipline diverse, dalle norme giuridiche ai principi contabili, all’organizzazione, al controllo di gestione a quello strategico. Bisogna ragionare sul contesto in cui ci si muove, informarsi, tenere le orecchie dritte. Ma soprattutto bisogna acquisire una conoscenza approfondita dell’azienda dove si è parte dell’organo di gestione. Ogni realtà è diversa, unica e non si possono prendere decisioni consapevoli e avere autonomia di giudizio, senza conoscere a fondo l’oggetto che siamo stati chiamati a custodire. Poi restare indipendenti. Anche nel privato, ho sempre pensato che senza l’indipendenza, anche economica, non si è realmente liberi. Dire qualche no, alla lunga vale per la coscienza, ma anche per la reputazione.

L’intervista è stata condotta da Aga Barberini, Antonella Simone e Alfonso Scarano – analisti finanziari

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