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Verso un nuovo paradigma economico: dal profitto al purpose

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Il profitto è importante ma non basta più. Un’idea moderna di azienda deve basarsi anche su altro, ovvero sul purpose. Letteralmente il termine è traducibile in “scopo”. In senso lato, però, deve essere interpretato come “il motivo per il quale l’azienda esiste”, la sua idea di società e quello che essa fa per realizzarla. Si tratta di un salto di qualità epocale che, ovviamente, ha molto a che fare con l’esigenza di riempire le casse aziendali. I primi a chiedere ai produttori (di beni di consumo ma anche di servizi) di definire e di perseguire il loro scopo sociale sono i consumatori: secondo una ricerca condotta da Accenture, 7 su 10 preferiscono acquistare da aziende con le quali condividono valori.

Anche lo “spietato” mondo della finanza non è esente da un approccio che pone al centro l’importanza del purpose. Si pensi per esempio all’appello lanciato qualche tempo fa dal numero uno di Blackrock, Larry Flink, ai ceo delle grandi quotate ai quali ha ricordato che “la sostenibilità è sempre più rilevante ai fini dei risultati d’investimento”.

Attenzione però perché si rischia anche un fenomeno distorsivo del tutto equivalente a quello del green washing visto che il purpose rappresenta oggi una delle principali leve di differenziazione rispetto ai propri concorrenti sul mercato. A metterlo in evidenza già qualche anno fa una ricerca dal titolo “Purpose Italia”, dalla quale emerge che le aziende che si impegnano per un obiettivo di interesse comune sono preferite dal 74,3% dei consumatori ma anche che il 70,2% stenta a capire quali brand abbiano davvero a cuore la società in cui operano.

Rischio di purpose washing

In sostanza si sta diffondendo qualche fondato sospetto di purpose washing come è emerso da una ricerca di Omnicom, secondo la quale oltre il 60% dei consumatori ritiene che le aziende dichiarino di perseguire finalità sociali solo per incrementare vendite e profitti e più del 50% si dichiara pronto a cambiare marca in presenza di comportamenti incoerenti con le finalità dichiarate.

Considerati questi aspetti che impattano sulla reputazione dentro e fuori l’azienda e l’esperienza del cliente, è anche necessario ribadire che il purpose è e deve essere tema sul quale il cda è chiamato a lavorare. Le questioni sul tavolo sono numerose: come fanno i consigli di amministrazione a garantire che lo scopo perseguito dell’azienda sia adatto alla strategia di lungo termine? Come è possibile monitorare l’aderenza dell’azione di business al purpose? Ma soprattutto che ruolo possono giocare i ned in questo delicato ambito?

Parola all’esperta

Secondo Livia Piermattei coordinatrice del Reflection Group “Board leadership and sustainable business”  e membro del comitato scientifico di Nedcommunity, “i cda possono agire un ruolo proattivo per assicurare una coerenza tra obiettivi di lungo periodo della società  di cui sono amministratori e il suo scopo ultimo, il purpose. Per farlo devono sviluppare consapevolezze tecniche sia sui processi di analisi di materialità e scenari per individuare i temi effettivamente rilevanti che consentono di generare valore nel lungo periodo, sia sulle ripercussioni di questi su rischi, reporting, strategie, audit per monitorare regolarmente la performance in modo integrato. Tuttavia, prima ancora che sugli aspetti tecnici, è importante lavorare sulle attitudini ed i comportamenti del Cda per garantire costante collaborazione tra i diversi componenti, con il management e tra i Comitati Strategie, Rischi, Sostenibilità, Nomine, Remunerazioni e costruire un’atmosfera informale dove le connessioni tra elementi finanziari e non finanziari possano essere viste, condivise, discusse anche se apparentemente non intuitive o divergenti.  Ai ned un ruolo di ‘apripista’ del nuovo modello di leadership nel Cda, per assicurare il successo sostenibile della società governata”.

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