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Un nuovo ruolo per gli amministratori indipendenti?

È vivissima la discussione sulle crescenti responsabilità attribuite agli amministratori indipendenti, con uno sbilanciamento tra le attese e gli strumenti a loro disposizione. Servono indipendenti più attivi o è necessario differenziare meglio il loro ruolo rispetto a quello degli altri amministratori?

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I requisiti di competenza, esperienza e professionalità richiesti agli amministratori sono diventati progressivamente più sfidanti, fino a rappresentare un’asticella per molti difficile da raggiungere. Analogamente sono cresciute le richieste di diversity di profili nei CdA e le responsabilità attribuite agli organi, ma anche ai singoli amministratori. Tuttavia, si è fatto poco e ancora troppo poco si è discusso in merito alle effettive performance degli amministratori in carica e alla coerenza tra le attese nei loro confronti e le leve concretamente a disposizione degli stessi indipendenti per rispondere alle maggiori aspettative e responsabilità.

Dalle origini a oggi

La figura dell’amministratore indipendente nasce negli Stati Uniti negli anni ’70, come evoluzione di quella degli “outside directors”, in seguito ad alcuni scandali finanziari[1].  L’obiettivo assegnato a tale categoria di consiglieri era quello di potenziare l’attività di monitoring del CdA, fino ad allora caratterizzato da una funzione consultiva, quasi da “advisory board”, rispetto a poteri gestori delegati quasi in toto al CEO.  Anche in Europa, scandali e casi di misconduct hanno indotto i promotori dei principi di autodisciplina a introdurre tale figura nel primo Codice di Corporate Governance, pubblicato in UK nel 1992 (il c.d. Cadbury Code), e successivamente negli altri codici nazionali, tra cui quello italiano del 1999 (il Codice Preda).

Nel corso degli anni, il numero e le funzioni degli amministratori indipendenti sono aumentati significativamente, anche in risposta alle esigenze di presidiare meglio i conflitti di interesse e i diritti delle minoranze, di garantire professionalità e obiettività nei processi decisionali, di promuovere la gestione etica e prudente dell’attività di impresa. Nella normativa bancaria (Circolare Banca d’Italia 285/2013), agli indipendenti è chiesto espressamente di assicurare la sana e prudente gestione e di proteggere l’integrità del mercato e gli interessi dei consumatori. La regolamentazione e l’autodisciplina hanno enfatizzato la funzione di “garanzia” della buona governance svolta dagli indipendenti, attribuendo agli stessi un ruolo e responsabilità specifiche, ad esempio in materia di operazioni di parti correlate e di funzionamento dei comitati endoconsiliari. Tali interventi, non solo hanno confermato implicitamente l’efficacia degli indipendenti, ma hanno determinato anche un aumento delle competenze richieste a tale categoria di amministratori e del relativo peso specifico all’interno dei CdA. Nelle società quotate, la percentuale di indipendenti è passata da poco più del 30% del 2010 a quasi il 50% nel 2022, con numerosi Consigli, anche di società di piccole e medie dimensioni, caratterizzati da una maggioranza di amministratori indipendenti.

Adeguatezza del ruolo

In linea di principio, la qualificazione di un amministratore non esecutivo come indipendente non esprime un giudizio di valore, ma indica una situazione di fatto. Parimenti, la qualità di indipendente non limita la responsabilità di un amministratore rispetto agli altri, pur non potendo tale amministratore, per definizione, essere investito di deleghe gestionali. Non vi è dubbio tuttavia che sia ragionevole e giustificata l’aspettativa che l’indipendente sia dotato di professionalità elevate, anche più elevate rispetto al comune amministratore, in assenza delle quali la presenza di un soggetto “totalmente estraneo” al sistema dell’impresa si giustificherebbe a fatica.  Ciò spiega perché gli indipendenti siano valutati sostanzialmente ex ante, in base al relativo profilo professionale e all’esperienza da questi maturata, valorizzata soprattutto se frutto di precedenti esperienze in CdA. Meno sviluppati e poco formalizzati sono, invece, i processi di valutazione ex post, assai importanti peraltro nella vita di un’impresa, poiché in grado di determinare se un soggetto sia stato “all’altezza del ruolo”. D’altra parte, né la letteratura in materia di governo societario ha prodotto evidenze certe su quali siano le categorie di amministratori indipendenti più performanti (accademici vs manager; professionisti vs esperti di business; giovani vs meno giovani; ecc.?) né vi sono in dottrina discussioni fondate su casi reali di assenza di indipendenza “sostanziale” a fronte del rispetto di requisiti “formali”. Non vi è dubbio, quindi, che occorra introdurre nuovi processi di assessment del comportamento tenuto da tali amministratori nei CdA in cui operano. Se questi fossero correttamente implementati, vi sarebbe forse più spazio per nuovi ingressi, magari portatori di maggiore innovazione di conoscenze e di pensiero.

Il turnover degli indipendenti è infatti ancora poco elevato, se si considera il fatto che l’uscita da un CdA, spesso per il raggiungimento dei 9 anni previsti dal Codice di Corporate Governance, implica nella maggior parte dei casi la nomina in un altro Consiglio. I c.d. “rookie”, ossia gli amministratori al loro primo mandato, sono infatti molto pochi soprattutto nelle società quotate. Negli studi condotti sul tema la valutazione della relativa efficacia è peraltro controversa: secondo alcuni essi sono timidi, percepiscono un alto costo del dissenso e si trattengono quindi dal prendere posizioni scomode e impopolari. Altri invece ne affermano l’importanza, sottolineando che lo stimolo a “fare carriera” nel ruolo li porterebbe ad essere più attivi e lungimiranti anche nel fornire il proprio contributo alla discussione. Nel complesso, una maggiore attenzione alle performance effettive degli indipendenti potrebbe favorire una migliore e più attenta selezione di tali figure, anche nella prospettiva introdotta dal DDL Capitali, approvato dal Senato il 24 ottobre 2023, del voto sui singoli amministratori in caso di lista del CdA.

Responsabilità e attese crescenti

Sull’opportunità di differenziare le responsabilità degli amministratori indipendenti rispetto a quelle degli altri consiglieri non si è ancora dibattuto in modo soddisfacente in letteratura. Un argomento ricorrente è che, a fronte di responsabilità sempre più specifiche, come quelle sopra menzionate ad esempio in tema di operazioni con parti correlate, o di attese maggiori legate ad esempio ai temi di sostenibilità[2], si tenga poco conto della condizione di asimmetria informativa in cui operano fisiologicamente tali amministratori. A questa considerazione si deve però forse obiettare che il codice civile impone a tutti i consiglieri il diritto/dovere di agire informati e che la possibilità di delegare alcune o più funzioni implica la possibilità, per il CdA, di limitare l’estensione delle deleghe o di esercitare il potere di avocazione. Ne consegue che, laddove le informazioni siano ancora giudicate non tempestive o non sufficienti – come pare dalle rilevazioni condotte su quanto riportato nelle Relazioni sul governo societario[3] –, forse gli amministratori non abbiano agito con sufficiente efficacia per colmare tali lacune.

In altre parole, da un lato gli amministratori indipendenti sono chiamati a svolgere un ruolo di monitoraggio sugli esecutivi maggiore rispetto a quello degli altri amministratori non esecutivi, in virtù della propria condizione di terzietà e della professionalità che li caratterizza, da un altro lato tale attività di controllo richiede un impegno particolarmente significativo e presuppone una condizione di indipendenza sostanziale che dovrebbero, quindi, entrambi essere oggetto di specifica valutazione. 


[1] Gordon, Jeffrey N., The Rise of Independent Directors in the United States, 1950-2005: Of Shareholder Value and Stock Market Prices (August 2006). ECGI – Law Working Paper No. 74/2006, Columbia Law and Economics Working Paper No. 301, Stanford Law Review, Vol. 59, p. 1465, 2007.

[2] Sul tema si veda ad esempio Bruno S., “Dichiarazione “non finanziaria” e obblighi degli amministratori, in Rivista delle società, n. 4, 2018.

[3] Sul tema si veda ad esempio il Rapporto FINGOV sulla Corporate Governance, 2023.

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