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Parti correlate: un passo avanti per la crescita del mercato finanziario

Dopo una consultazione durata quasi due anni la Consob ha recentemente emanato stringenti disposizioni regolamentari in tema di operazione con parti correlate, volte ad allineare il nostro mercato finanziario con la best practice internazionale. 

È bene ricordare che in una recente ricerca il nostro Paese era posizionato al 35esimo, tra le nazioni di civil law, quanto ai controlli in tema di operazioni in conflitto di interessi. Basti pensare, per fare qualche esempio, al fatto che l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori può essere esercitata – in via diretta – solo da tanti azionisti che rappresentino almeno il 2,5% del capitale sociale (art. 2393-bis cod. civ.). o che, in caso di fondato sospetto di gravi irregolarità gestionali, unicamente gli azionisti – che detengono almeno il 5% del capitale sociale – hanno diritto di denunciare tali irregolarità (art. 2409 cod. civ.). Senza dimenticare le armi spuntate in campo processuale, tenuto conto che, nell’ambito di un eventuale giudizio, i soci possono sì richiedere l’esibizione di documenti ma, tuttavia, tale richiesta non può avere contenuto generico ma deve contenere l’esatta indicazione del documento da esibire, il che, come si può facilmente comprendere, limita alquanto la possibilità di provare le presunte irregolarità.

Pertanto, ben venga la nuova regolamentazione in tema di parti correlate, il cui fine è quello di incidere in maniera sensibile sui controlli posti a tutela degli investitori al fine di eliminare le espropriazioni degli insider (siano questi soci o gruppi di controllo oppure gli amministratori), anche in quanto ciò rappresenta un importante passo per accrescere la fiducia degli investitori nei mercati finanziari e per favorire il loro sviluppo, che, nel nostro Paese, è rimasto più che asfittico se solo si considera che nel 1990 le società quotate erano 266, nel 2005 282, nel 2009 296. 

Diverse ricerche empiriche hanno rivelato che la presenza di una fitta rete di presidi normativi volta ad evitare o quantomeno a limitare le espropriazioni da parte degli insiderimporta: (a) una crescita dimensionale dei mercati finanziari; (b) un maggior numero di imprese quotate; (c) imprese quotate di maggiori dimensioni; (d) una maggiore valutazione delle imprese; (e) un incremento dei dividendi; (f) un decremento della concentrazione azionaria; e (g) una diminuzione dei benefici privati del controllo.

La ratio della normativa introdotta dall’Autorità di Vigilanza, che si innesta in questo solco, è semplice e chiara: imporre dei controlli pregnanti sulle operazioni in conflitto di interessi che possono pregiudicare, in particolar modo, gli azionisti di minoranza e i creditori della società.


Le voci critiche

Ancora prima che venisse pubblicato il nuovo quadro regolamentare si sono sollevate diverse voci contrarie, e per così dire reazionarie, che hanno paventato il rischio che i nuovi presidi ingessino l’operatività delle società e determinino l’impossibilità di sfruttare le sinergie di gruppo, in particolar modo qualora vi siano dei rapporti di direzione unitaria tra controllante e controllate, considerato che in tal caso il Regolamento Consob prevede che la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione sia costituita da amministratori indipendenti ossia non legati al socio di controllo. E a ben vedere non si comprende come eventuali sinergie di costo o di ricavo all’interno del gruppo possano essere pregiudicate da controlli supplementari volti a verificare che i trasferimenti di risorse all’interno del gruppo non avvantaggino ingiustificatamente una società a discapito di un’altra o dalla presenza di un certo numero di consiglieri indipendenti.

Il costo che le società quotate (sottoposte a direzione e coordinamento) dovranno sostenere per “procedimentalizzare” le operazioni tra parti correlate è certamente giustificato di fronte al reale pericolo rappresentato da un esercizio attivo di funzioni di direzione unitaria all’interno di gruppi quotati (piramidali o meno). E la presenza nel consiglio di amministrazione di un consistente numero di amministratori indipendenti la cui funzione precipua sia di valutare i trasferimenti di risorse all’interno del gruppo non pare a chi scrive che possa essere considerato come un serio ostacolo alla quotazione. Anzi si avrebbe forse il risultato (positivo) di scoraggiare l’entrata sul mercato di quelle società che dinnanzi a un relativamente semplice requisito relativo alla composizione del consiglio, volto a incrementare i controlli a beneficio di soci e creditori, non siano (stranamente) disposte ad adattare la propria governance.

È innegabile che l’influenza attiva sulla vita della controllata consapevolmente esercitata dalla controllante – e volontariamente attuata dalla controllata – (e, quindi, nella quali gli amministratori sono, di fatto, portatori permanenti di interessi per conto di terzi), possa portare a continui e ingiustificati trasferimenti di risorse a discapito dei soci di minoranza e dei creditori della società a valle della catena di controllo. 

L’esercizio dell’attività di direzione unitaria presenta evidentemente delle insidie maggiori, in quanto può incidere profondamente sulle scelte strategiche e gestionali della controllata – di carattere finanziario, industriale, commerciale – , che potrebbe essere così gestita, nonostante i presidi già previsti dalla legge, in maniera tale da favorire l’interesse del socio di maggioranza. 

Si pensi alle scelte in tema, ad esempio, di piani industriali o di crescita per linee esterne, che potrebbero essere adottati dall’organo amministrativo della controllata sulla base delle direttive ricevute della controllante, la quale, però, potrebbe perseguire un interesse diverso (anche solo parzialmente) da quello della controllata soggetta a direzione e coordinamento.

Il fatto che la società a valle sia una società a una sovranità limitata, con conseguente attenuazione dell’autonomia gestionale e limitazione del potere di autodeterminazione, appare giustificare pienamente l’inserimento di controlli supplementari volti a verificare su base continua se le direttive della capogruppo contrastino con i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale. 


Gli aspetti positivi

La previsione di una maggioranza di amministratori indipendenti (dal socio di maggioranza) in seno all’organo amministrativo e di un comitato di controllo interno composto interamente da amministratori indipendenti dovrebbe contribuire ad assicurare che gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili della controllata siano tali da evitare operazioni (anche solo potenzialmente) pregiudizievoli per la stessa controllata non effettivamente e concretamente controbilanciate da un beneficio certo e attuale, anche indiretto, in grado di attenuare o eliminare il danno. E un effetto ancor maggiore dovrebbe sortire l’obbligo di portare all’attenzione dei soci, che potranno così esercitare i propri diritti di voice, le operazioni rilevanti bocciate dagli amministratori indipendenti.

L’effetto (sperato) di tale riforma dovrebbe, quindi, essere quello di rafforzare la fiducia degli investitori nel mercato finanziario domestico e aumentare l’afflusso dei capitali verso le imprese. Un recente studio ha messo in luce un fatto che fa davvero riflettere «i 100 miliardi di euro rientrati con lo scudo rappresentano circa quattro volte la raccolta delle IPO degli ultimi dieci anni e più o meno corrispondono a tutti i flussi di investimento canalizzati dalla Borsa (quindi compresi aumenti di capitale e offerte secondarie) nello stesso periodo. Ma se dovessimo concentrarci solo sulle operazioni riguardanti le piccole e medie imprese, forse rappresentano più di quanto la Borsa italiana abbia raccolto nei due secoli della sua vita».

La decisione di investire in azioni richiede non solo un bilanciamento tra rischio e rendimento, ma anche un atto di fiducia che i dati finanziari disponibili siano veritieri e affidabili e che il sistema nel suo complesso operi correttamente. Come correttamente notato, la maggior parte delle persone non si fa coinvolgere nelle gioco delle tre carte, anche dopo aver osservato in maniera prolungata come si svolge il gioco, non tanto perché il rapporto rischio-rendimento è incerto ma soprattutto perché non vi è alcuna fiducia circa le regole del gioco.

Perciò, ben vengano nuove misure volte a proteggere gli investitori e ad aumentare la platea di coloro che investono i propri risparmi nel mercato finanziario, che allo stato rappresenta poco più dell’8% della popolazione.

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