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Novità sul riacquisto di strumenti patrimoniali da parte di Bankitalia e Consob

Negli ultimi mesi molte banche, sia in Italia che all’estero, hanno effettuato una serie di operazioni di riacquisto di strumenti computabili nel patrimonio di vigilanza; tali strumenti sono, essenzialmente, gli strumenti innovativi di capitale, computabili nel Tier I, e gli strumenti ibridi di patrimonializzazione, nonché le passività subordinate, computabili nel Tier II del patrimonio di vigilanza delle banche. 
La ragione del moltiplicarsi di tali operazioni è da ricercare nella convenienza economica e patrimoniale da parte delle banche nell’effettuare riacquisti di passività in questo particolare contesto di mercato. 
La crisi finanziaria degli ultimi mesi ha, infatti, depresso sensibilmente il prezzo degli ibridi bancari e più in generale il prezzo dei titoli di debito. Ciò è dovuto a varie ragioni, tra cui, in particolare, il mancato richiamo di alcuni titoli in occasione di scadenze di call, che ha fatto sì che il mercato scontasse la possibilità che gli ibridi diventassero perpetui. Inoltre, come noto, per gli strumenti ibridi è prevista la possibilità che le cedole siano cancellate al verificarsi di talune condizioni (tra cui, ad esempio il mancato pagamento di dividendi sulle azioni); la situazione incerta relativa ai risultati finanziari degli anni 2008 e 2009 ha fatto sì che il mercato considerasse come maggiormente probabile il mancato pagamento di cedole. 
Tutti questi fattori hanno avuto l’effetto di far scendere il prezzo degli ibridi, creando i presupposti per una strategia di ottimizzazione della struttura patrimoniale delle banche. In tale congiuntura di mercato, infatti, il corrispettivo offerto dalle banche nelle operazioni di riacquisto è stato inferiore al valore nominale degli strumenti riacquistati. Il riacquisto e la conseguente cancellazione degli stessi (o, quanto meno, la loro segregazione) ha, come noto, un diretto impatto sul patrimonio netto della banca, poiché la plusvalenza per la banca derivante dal riacquisto di una passività ad un prezzo scontato va ad aumentare la componente core del patrimonio; tutto questo a fronte di una diminuzione del patrimonio di vigilanza nel suo complesso, in conseguenza della cancellazione dei titoli dal computo nel patrimonio. 
Sotto il profilo regolamentare, tali operazioni si inseriscono all’interno di un quadro normativo che negli ultimi mesi ha subito una serie di modifiche particolarmente rilevanti. A tal riguardo, occorre distinguere tra la normativa relativa ad aspetti di trasparenza informativa e quella concernente la struttura del patrimonio di vigilanza delle banche.

Trasparenza

In passato, molte operazioni di acquisto di titoli di debito avevano visto l’esclusione degli investitori italiani. Ciò era dovuto ad un quadro regolamentare complesso, che rendeva particolarmente oneroso per l’offerente rivolgere l’offerta agli investitori italiani. 
Nella maggior parte degli altri paesi europei, infatti, l’offerta pubblica di acquisto su titoli di debito è esentata dall’obbligo di pubblicazione del prospetto informativo, a differenza di quanto avviene per le offerte pubbliche di acquisto su azioni; in pratica, il soggetto che intende procedere ad un’offerta pubblica di acquisto su titoli di debito pubblica un documento informativo che non è assoggettato ad alcuna autorizzazione. Laddove, invece, l’offerente intenda offrire in corrispettivo titoli (configurandosi pertanto l’operazione come una offerta pubblica di acquisto e scambio), l’operazione ricade nella disciplina delle offerte di vendita e sottoscrizione; viene, quindi, pubblicato un prospetto informativo per i soli titoli di nuova emissione (sia pure con informazioni sui titoli riacquistati), salvo il caso in cui l’emissione degli stessi ricada in una fattispecie in cui è prevista una apposita esenzione (ciò avviene, ad esempio, per i titoli offerti in corrispettivo che abbiano un taglio superiore a 50.000 Euro). 
Prima delle recenti modifiche regolamentari in materia, la disciplina italiana assoggettava entrambe le fattispecie alla disciplina dell’offerta pubblica di acquisto e di scambio, con la conseguenza che l’offerente che intendeva rivolgere l’operazione anche agli investitori italiani era costretto a pubblicare un documento di offerta apposito per i soli investitori residenti in Italia. Per tali ragioni, si è spesso assistito ad operazioni che vedevano l’espressa esclusione degli investitori italiani, ai quali era tra l’altro preclusa la possibilità di aderire all’offerta svolta all’estero, con evidente compromissione della parità di trattamento e di tutela informativa rispetto agli investitori di altri paesi. 
Nell’ambito di questo quadro regolamentare, è intervenuta la CONSOB con la Comunicazione n. DEM/9034174 del 16 aprile 2009 nella quale è stata fornita una interpretazione della disciplina in quel momento vigente. In particolare, è stato stabilito che le offerte pubbliche di acquisto e scambio possono essere sottoposte alla disciplina delle offerte pubbliche di vendita e sottoscrizione, anziché a quella delle offerte pubbliche di acquisto e scambio. Le conseguenze pratiche sono di notevole importanza, poiché l’offerente che ottiene in altro paese comunitario l’approvazione di un prospetto informativo per poter procedere ad una offerta pubblica di acquisto e scambio, potrà poi utilizzare il medesimo prospetto in Italia – sia pure con talune integrazioni – mediante una procedura simile a quella della c.d. “passaportazione” prevista dalla Direttiva Prospetti. 
Le modifiche apportate dalla CONSOB in via interpretativa con la comunicazione sopra citata sono state poi inserite nel regolamento emittenti nel maggio del 2009, nonché, in sede di legislazione primaria con una norma non ancora entrata in vigore, con una modifica all’articolo 102 del testo unico della finanza. 
Tali modifiche regolamentari hanno avuto ad oggetto solamente la disciplina dell’offerta pubblica di acquisto e di scambio, mentre non hanno riguardato le operazioni di mera offerta pubblica di acquisto. Queste ultime necessiteranno pertanto di un apposito documento di offerta che dovrà essere approvato da parte della CONSOB nel caso in cui l’offerta sia rivolta anche agli investitori italiani.

Le novità introdotte dalla CONSOB in materia non si sono fermate solamente a queste. Un ulteriore motivo che aveva condotto ad escludere gli investitori italiani dalle operazioni di riacquisto era rappresentato anche dalle norme in materia di determinazione del prezzo e di durata del periodo di offerta. A differenza delle offerte pubbliche di acquisto su azioni, il riacquisto di titoli di debito necessita di norme più elastiche sulla determinazione del corrispettivo, al fine di evitare che le fluttuazioni dei mercati finanziari possano rendere non più attuale il prezzo offerto. La CONSOB ha, quindi, ridotto a cinque giorni, invece di quindici, il periodo di offerta minimo per le operazioni di riacquisto di titoli di debito ed ha introdotto elementi di flessibilità nella determinazione del corrispettivo, permettendo che lo stesso sia modificato durante il periodo di offerta. 
Guardando poi alle ultime operazioni di riacquisto effettuate in Italia negli ultimi mesi, occorre segnalare ulteriori novità. In sede di approvazione del documento di offerta la CONSOB ha, infatti, richiesto le stesse informazioni di trasparenza introdotte, con la Comunicazione n. DIN/DSE/9025454 del 24 marzo 2009, per le offerte di OICR e prodotti assicurativi (tali misure sono attualmente anche oggetto di consultazione per i prodotti finanziari non riconducibili a queste ultime due categorie). L’investitore si è trovato così di fronte ad un set informativo particolarmente dettagliato e volto a spiegare, in termini probabilistici, il grado di convenienza che l’adesione all’offerta avrebbe comportato, rispetto all’ipotesi di mancata adesione.

Patrimonio di vigilanza

Si sono descritti sopra brevemente gli effetti che un’operazione di riacquisto (finalizzata all’annullamento dei titoli con conseguente riduzione delle passività delle banche) ha sul patrimonio delle banche; in particolare, in occasione di fasi di mercato difficili in cui il prezzo delle passività è particolarmente depresso, il riacquisto ha un effetto ancor più positivo, in considerazione dell’aumento della competenza core del patrimonio (sia pure a fronte di una diminuzione del patrimonio di vigilanza nel suo complesso). Tuttavia, nell’effettuare tali operazioni, le banche devono tener conto di una serie di limiti stringenti che sono, in ultima analisi, diretti a salvaguardare la stabilità delle risorse patrimoniali. 
Proprio a questi fini, la normativa prevede, per ciascuna categoria di strumento, una durata minima affinché i titoli possano essere computati nel patrimonio di vigilanza, nonché l’assoggettamento di determinate ipotesi di rimborso ad autorizzazione della Banca d’Italia. 
In relazione poi al riacquisto di tali titoli, la regolamentazione di Banca d’Italia prevede che il riacquisto degli strumenti ibridi di patrimonializzazione e delle passività subordinate – se effettuato a fini di ricollocamento ed, entro certi limiti percentuali – è liberamente effettuabile; per contro, i riacquisti finalizzati all’annullamento degli strumenti in questione, come pure degli strumenti innovativi di capitale, devono essere sempre autorizzati, poiché secondo la Banca d’Italia configurano, sul piano sostanziale, un rimborso anticipato. 
Nell’ambito di tale quadro regolamentare, la Banca d’Italia è intervenuta il 21 agosto 2009 con una sua circolare, nella quale è stato chiarito che il rimborso anticipato effettuato tramite operazioni di riacquisto potrà essere autorizzato in relazione ad esigenze patrimoniali particolari (ed adeguatamente motivate) e solamente a condizione che gli strumenti che si vanno a riacquistare siano integralmente e preventivamente sostituiti con altri strumenti di qualità patrimoniale almeno equivalente. Ne deriva che per una banca che nei primi dieci anni di vita dello strumento voglia procedere, ad esempio, al riacquisto di strumenti innovativi di capitale, la strada più naturale per rispettare questi requisiti sarà quella di effettuare una offerta pubblica di scambio in cui vengono offerti in corrispettivo strumenti innovativi di capitale. 
Le misure del 21 agosto 2009 della Banca d’Italia si innestano nell’ambito di un dibattito europeo più ampio sugli strumenti ibridi, che vede anche il coinvolgimento del CEBS (Committee of European Banking Supervisors) in sede di adozione dei principi contenuti nella c.d. CRD (la Capital Requirements Directive, le cui disposizioni sono contenute nella Direttiva 2006/48/CE e nella Direttiva 2006/49/CE). In particolare il CEBS ha lanciato in data 22 giugno 2009 una consultazione in cui uno dei principali argomenti trattati è stato proprio il riacquisto degli ibridi da parte della banche. In tale documento, il CEBS ha di fatto equiparato il riacquisto alle ipotesi di call e di rimborso dello strumento (ipotesi per le quali, tra l’altro, la CRD prevede un più breve termine di cinque anni, invece di dieci, come attualmente previsto dalla normativa della Banca d’Italia per gli strumenti innovativi di capitale). Secondo il CEBS, infatti, da un punto di vista sostanziale le diverse fattispecie (riacquisto, call e rimborso) non differiscono, con la conseguenza che le operazioni di riacquisto dovrebbero essere effettuate solamente dopo i cinque anni e previa autorizzazione dell’autorità di vigilanza, mentre potranno realizzarsi nei primi cinque anni solamente a condizione che la banca sostituisca gli strumenti che intende acquistare con altri della stessa “qualità” patrimoniale (oppure, ovviamente, con altri di migliore “qualità patrimoniale”).  
Tuttavia il CEBS in sede di consultazione ha chiesto agli operatori di indicare se possono esserci situazioni che da un punto di vista prudenziale possono giustificare il riacquisto, nei primi cinque anni di vita dello strumento, senza che la banca proceda alla sostituzione dei titoli riacquistati con altri aventi la stessa qualità patrimoniale. 
È presumibile che gli operatori provino a limitare la portata di tali nuove regole. Del resto, i limiti previsti per il riacquisto degli ibridi, volti a garantire una maggiore stabilità delle risorse patrimoniali delle banche, non sono previsti neppure nell’ipotesi di riacquisto di azioni, che sono i titoli per eccellenza più “stabili” nel patrimonio; non si comprenderebbe, pertanto, perché agli strumenti ibridi si debbano applicare limiti ancor più stringenti. Inoltre, tali limitazioni impedirebbero alle banche di effettuare operazioni che, in certe fasi di mercato, potrebbero essere convenienti da un punto di vista patrimoniale, portando ad una ottimizzazione della loro struttura patrimoniale.

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