Approfondimenti

L’evoluzione dell’indipendenza nel governo societario in Italia

Una biografia dell’amministratore indipendente dalle origini a oggi, per focalizzare i passi in avanti realizzati nel nostro Paese negli ultimi anni sul fronte della centralità di questa figura nella governane delle nostre aziende

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Il prossimo 1° gennaio 2024 l’amministratore indipendente festeggia 20 anni di introduzione nell’ordinamento italiano. Cercherò di scriverne sinteticamente la biografia, attraverso i momenti più significativi della sua ancora giovane vita.

La nascita (2004-2006)

La Riforma del diritto societario ha portato numerose novità alla disciplina della Corporate Governance delle società, inserendo la previsione dell’indipendenza degli amministratori in due modi. Vengono introdotti due ulteriori sistemi di amministrazione, il modello monistico e il sistema duale, stabilendo per entrambi, in modo esplicito in un caso ed implicito nell’altro, la presenza, nell’organo di amministrazione, di soggetti che possiedano il requisito di indipendenza.

In aggiunta, alle società che adottano il sistema di governance tradizionale viene data la possibilità di inserire all’interno dello Statuto sociale che alcuni amministratori possiedano particolari requisiti di indipendenza. Se l’indipendenza non trova una definizione propria nel Codice civile, facendo il legislatore rinvio alle norme previste per il collegio sindacale, che era d’altra parte, fino ad allora, l’unico organo di controllo conosciuto, all’amministratore indipendente viene, invece, dato subito uno specifico ruolo, quello di vigilanza sugli amministratori esecutivi.

Nel 2005, con la riforma del TUF, l’amministratore indipendente entra obbligatoriamente a far parte dei consigli di amministrazione delle società quotate: quelle con organi di amministrazione con più di sette membri o per previsione statutaria. A livello europeo, a febbraio dello stesso anno, le Raccomandazioni della Commissione danno indicazioni precise su ruolo, caratteristiche e numerosità degli amministratori senza incarichi esecutivi e indipendenti.

Viene evidenziata l’importanza del ruolo per dare fiducia ai mercati, in quanto deputati a vigilare sugli amministratori con incarichi esecutivi.  L’indipendenza è intesa come “l’assenza di un conflitto di interessi rilevante”, “l’assenza di stretti legami con i dirigenti, con gli azionisti di controllo e con la società stessa”, “la libertà da relazioni professionali, familiari o di altro genere” con la società, gli azionisti e i dirigenti tali da poterne influenzare il giudizio.

Per la precisione, in Italia, l’autoregolamentazione era già intervenuta sull’argomento. Il Codice di Autodisciplina del 1999 definisce, infatti, per la prima volta il requisito dell’indipendenza. “L’indipendenza di giudizio è un atteggiamento richiesto a tutti gli amministratori, esecutivi e non esecutivi: l’amministratore consapevole dei doveri e dei diritti connessi alla propria carica opera sempre con indipendenza di giudizio”. La qualificazione dell’amministratore come indipendente “non assume alcuna valenza né positiva né negativa, ma è semplicemente il risultato di una situazione di fatto: l’assenza di relazioni economiche con gli amministratori delegati della società, e con i soci di controllo tali da condizionarne….. l’autonomia di giudizio e il libero apprezzamento dell’operato del management”.

L’indipendenza è un elemento oggettivo, non condizionabile dalla tipologia degli azionisti proponenti la nomina”. Si esplicita che il ruolo degli amministratori indipendenti deve avere particolare rilevanza nell’ambito delle discussioni consiliari e nella partecipazione ai comitati, tenuti a trattare “tematiche delicate e fonti potenziali di conflitti di interesse”.

Il Comitato per la Corporate governance ha incisivamente modificato il Codice nel 2006con l’introduzione di significative novità, con il convincimento da parte del Comitato di poter “contribuire al mantenimento e al miglioramento di elevati standard qualitativi del nostro mercato azionario, aumentando il livello di interesse e di fiducia sia da parte di investitori e intermediari nazionali e internazionali, sia da parte delle aziende che intendono avvicinarsi al mercato dei capitali”. Agli amministratori indipendenti è riservato il capitolo 3. Interessante evidenziare che, in linea con quanto raccomandato dalla Commissione Europea, i criteri applicativi chiariscono che l’indipendenza debba essere valutata avendo riguardo più alla sostanza che alla forma. Inoltre, viene richiesto che il numero e le competenze degli amministratori indipendenti siano adeguati alle dimensioni del Consiglio. Da notare anche la previsione che gli amministratori indipendenti debbano riunirsi esclusivamente tra loro almeno una volta all’anno.

Sul requisito di indipendenza, il Codice non fornisce indicazioni tassative, lasciandone la valutazione al prudente apprezzamento degli amministratori, che devono “prendere in esame anche ulteriori fattispecie, non espressamente contemplate, che potrebbero apparire comunque idonee a compromettere l’indipendenza dell’amministratore”.

Infine, sempre in linea con le raccomandazioni europee, si esplicita il fatto che la circostanza che un amministratore sia espresso da azionisti di minoranza non determina automaticamente l’indipendenza di tale amministratore, che deve, comunque, essere verificata in concreto.

La prima analisi dell’attuazione del Codice di autodisciplina realizzata da Assonime prende in considerazione le comunicazioni rese da 42 società quotate su 45 appartenenti all’indice MIB30 e da quelle azioniste di Emittenti Titoli. Gli amministratori indipendenti sono identificati per nome solo in 22 casi. Nelle 29 società ove è possibile individuare il numero degli indipendenti, essi rappresentano il 47% dei componenti del consiglio di amministrazione.

Nel marzo 2004 nasce, per volontà di un gruppo di amministratori indipendenti, Nedcommunity, con lo scopo di valorizzare e sostenere la figura professionale dei consiglieri non esecutivi e dei consiglieri indipendenti e “di aprire un serio confronto con i soci e gli interlocutori di riferimento” sul rapporto tra trasparenza ed efficienza nella gestione delle società quotate e sulle garanzie per gli investitori”. Uno dei programmi che l’associazione si propone di portare avanti è quello dell’elaborazione di regole basate sull’esperienza che definiscano la pratica e le responsabilità degli Amministratori Indipendenti e non esecutivi.

Si rilevano in questi anni, dagli scritti degli osservatori della materia, molte perplessità sugli effettivi benefici connessi alla nomina di Amministratori Indipendenti, soprattutto dovute alla mancata dotazione di specifici strumenti tali da consentire loro l’efficace esercizio dell’attività di monitoring, ma anche valutazioni positive sulla diffusione di buone pratiche alle quali tutte le società – prima o poi – dovranno adeguarsi.

L’infanzia (dal 2007 al 2010)

Dal 2007, le modifiche apportate al TUF, estendono l’obbligo della nomina di almeno un Amministratore Indipendente per tutte le società quotate.

Emanato lo stesso anno, il Regolamento Mercati richiama i requisiti di indipendenza tra le condizioni per la quotazione di azioni di società sottoposte all’attività di direzione e coordinamento di altra società, prevedendo la necessaria presenza di un comitato di controllo interno composto esclusivamente da Amministratori Indipendenti. Il Regolamento indica, inoltre, che anche gli altri Comitati raccomandati dai codici di comportamento siano composti da amministratori indipendenti.

L’importanza attribuita dall’Autorità di vigilanza al ruolo svolto dall’amministratore indipendente si evince chiaramente dalle disposizioni del Regolamento Consob in materia di parti correlate del marzo 2010. L’amministratore indipendente viene, infatti, individuato quale presidio di garanzia volto ad assicurare che i processi decisionali dei consigli di amministrazione per l’effettuazione di operazioni con parti correlate avvengano in modo corretto e trasparente e gli vengono attribuiti compiti e poteri ampi e determinanti, soprattutto nel caso di operazioni di maggiore rilevanza. In aggiunta, dal 2010, il Regolamento emittenti dispone l’obbligo per le società quotate di rendere noti al mercato gli esiti delle valutazioni sulla sussistenza dei requisiti di indipendenza, come previsti dal TUF o da normative di settore, dichiarati dai componenti degli organi di amministrazione. Le modalità di svolgimento dell’attività di valutazione vengono lasciate all’autonomia delle società.

Il documento di “Analisi dello stato di attuazione del Codice di Autodisciplina delle società quotate” pubblicato da Assonime e relativo all’anno 2009, evidenzia una evoluzione positiva delle pratiche di Corporate governance. Nello specifico, il report valorizza il fatto che la qualità degli indipendenti stia progressivamente allineandosi agli standard previsti dal Codice. È quasi sempre disponibile l’identificazione nominativa degli Amministratori Esecutivi, Non Esecutivi e Indipendenti. Con riferimento al campione esaminato, gli Amministratori Esecutivi sono pari al 33% dei componenti del Consiglio di Amministrazione; il restante 67% è dunque composto da Amministratori Non Esecutivi, con il 36% di Amministratori Indipendenti.

Qualche anno prima, nel 2007, si tiene a Courmayeur un importante convegno sul modello italiano di proprietà e controllo dell’impresa, del quale si ricorda, in particolare, l’intervento pessimista del prof. Guido Rossi, stimato giurista, già presidente di Consob, il quale definisce la corporate governance un antibiotico ad ampio spettro” contro i mali del capitalismo ed esprime la sua delusione nei confronti della presenza nei Consigli degli Amministratori Indipendenti, che, invece di vigilare, sono diventati “financial gigolò”. Il nostro amministratore indipendente deve crescere ancora prima di essere riconosciuto come un valore aggiunto all’interno del board.

Il 1° ottobre 2009 Nedcommunity pubblica on line, per la prima volta, “La Voce degli Indipendenti”, con l’auspicio che diventi, come scrive l’allora Presidente Rosalba Casiraghi, “un utile strumento per diffondere la cultura del buon governo societario” con l’obiettivo di migliorare la qualità degli organi sociali che vuol dire “individui fuori dal branco dei soliti “notoriamente innocui” ed invece in possesso di competenze ed impegno tali da apportare un reale contributo all’attività e alle decisioni degli organi”…. “al fine di perseguire gli obiettivi strategici, ossia guardare al futuro e alla sostenibilità nel lungo termine dell’impresa”.    

L’adolescenza (dal 2011 al 2019)

Ho indicato come data di inizio dell’adolescenza dell’amministratore indipendente l’anno 2011 per due principali ragioni: la Commissione europea pubblica il Libro Verde in materia di governo societario e il Comitato per la corporate governance rinnova il Codice di autodisciplina

Il Libro verde evidenzia l’importanza che il consiglio di amministrazione sia composto da membri senza incarichi esecutivi in grado di (i) offrire capacità e punti di vista diversi (ii) esperienze professionali adeguate, (iii) dedicare tempo sufficiente ai lavori del Consiglio di Amministrazione allo scopo di avere un organo “in grado di contestare le decisioni degli amministratori con incarichi esecutivi”. In secondo luogo, valorizza il fatto che il buon governo societario è un fattore importante anche per le società non quotate incoraggiando l’uso di orientamenti in tal senso, in quanto una governance corretta ed efficiente è un valore importante anche per queste, specialmente se si considera la rilevanza economica di alcune società non quotate di grandi dimensioni.

Sulla composizione dell’organo amministrativo, le indicazioni sono chiare: i membri del Consiglio senza incarichi esecutivi dovrebbero essere selezionati sulla base di un ampio ventaglio di criteri quali merito, qualifiche professionali, esperienze acquisite, qualità personali dei candidati, indipendenza e diversità professionale, internazionale e di genere. Una delle novità introdotte nel nuovo Codice di autodisciplina con riguardo agli Amministratori Indipendenti, è la previsione per tutte le emittenti di un numero minimo pari a due, che diventa un terzo del Consiglio per quelle appartenenti all’indice FTSE-Mib.                                      
In aggiunta, ne viene riconosciuto un ruolo rilevante nei Comitati endoconsiliari e viene individuata la figura del lead independent director,che “rappresenta un punto di riferimento e di coordinamento delle istanze e dei contributi degli amministratori non esecutivi e, in particolare, di quelli che sono indipendenti”.

L’attività dei consiglieri indipendenti diventa sempre più complessa e strutturata, le aspettative del mercato sempre più alte e gli stakeholders sempre più esigenti. Assogestioni pubblica, nel 2011, una breve guida operativa per amministratori indipendenti e sindaci di società quotate allo scopo di rispondere, come dichiarato, alle esigenze avvertite in ordine alla complessità delle strutture di governance, all’insufficiente cultura della gestione del rischio a livello aziendale e al desiderio diffuso tra gli amministratori esecutivi di mantenere uno stretto controllo sulle decisioni strategiche.

La Relazione per l’anno 2019 del Comitato Corporate Governance individua una elevata qualità dell’applicazione dei criteri di indipendenza previsti dal Codice, applicati integralmente o disapplicati con adeguata motivazione su base individuale in oltre l’80% delle società ma ancora una bassa trasparenza sui criteri quali-quantitativi che il board dovrebbe adottare prima della loro concreta applicazione per valutare la significatività delle eventuali relazioni economiche, professionali o patrimoniali con la società.

Con riferimento alla presenza di amministratori indipendenti, si evidenzia un elevato e stabile allineamento delle società quotate con le raccomandazioni del Codice. “A fine 2019 quasi tutte le società FTSE MIB hanno un Consiglio di Amministrazione (o un consiglio di sorveglianza) con almeno un terzo di indipendenti; circa il 96% delle altre società che aderiscono al Codice è in linea con la raccomandazione di avere, in ogni caso, almeno due Amministratori Indipendenti”.

Purtroppo, da rilevare il fatto che un quinto delle società quotate disapplica uno o più criteri in via generale o ha valutato l’indipendenza in maniera sostanziale pur in presenza di indici di non indipendenza. Sono ancora numerosi i casi di società con amministratori qualificati indipendenti “a rischio”, quali quelli con incarichi di vertice, una permanenza in carica di oltre i nove anni e una remunerazione aggiuntiva particolarmente elevata.  Si fa riferimento a 88 consiglieri indipendenti che siedono in circa un terzo delle società quotate che aderiscono al Codice, numero che si confronta con 104 nel 2019, 123 nel 2018 e 133 nel 2017.

La corporate governance inizia ad interessare un numero sempre più ampio di imprese, come dimostrano le pubblicazioni di linee guida e codici di comportamento che si rivolgono a società non quotate e PMI. Tra questi, il documento di Nedcommunity del 2015, che individua tra i Principi per una buona governance delle PMI non quotate la nomina di un numero adeguato di membri non esecutivi e con “marcata indipendenza di giudizio (“amministratori indipendenti”). Come gli advisor, essi sono persone competenti (portano valore) e autorevoli (il loro parere è rilevante) in relazione alle necessità dell’impresa”. Anche il Codice di Autodisciplina delle società non quotate a controllo familiare, pubblicato da AIDAF nel 2017, attribuisce un ruolo centrale agli Amministratori Indipendenti, adeguando, in misura proporzionale alla dimensione e alla complessità delle imprese, i principi previsti per le società emittenti in termini di qualifica, numero e competenze degli stessi.

L’età adulta (dal 2020 ad oggi)

Gli anni più recenti sono caratterizzati da un grado di complessità e incertezza dell’ambiente in cui operano le imprese mai verificatosi in precedenza, che si traduce in nuovi compiti e responsabilità per i consigli di amministrazione. Sono necessarie nuove competenze in nuovi ambiti, quali quello geopolitico, di sostenibilità e tecnologico.

Il ruolo dell’amministratore indipendente, presente in tutte le emittenti e in misura crescente nelle società non quotate, è disciplinato da soft law e best practices che ne definiscono sempre più precisamente doveri e diritti.  Nell’ambito del Consiglio, occupa un posto scomodo: gli viene chiesto di avere conoscenze tecniche e soft skills, tenersi informato, esprimere opinioni autonome, fare challenging sulle decisioni e monitoring sui managers. Nel 2020 viene rinnovato il Codice di autoregolamentazione della società quotate, ora Codice di Corporate governance, con molte novità e una chiara attenzione alle tematiche di sostenibilità e di engagement.

Sono proposti più articolati principi di corporate governance per le società non quotate, che valorizzano la presenza nei consigli di amministrazione della componente non esecutiva e indipendente e la diversity dei consiglieri per ambiti di competenza ed esperienza professionale, genere, nazionalità, età e background. Si diffondono, in parallelo, attività e strumenti di formazione e aggiornamento continuo.

L’amministratore indipendente sta entrando nella sua fase adulta ma non immune da critiche, rimanendo il dubbio che nei consigli di amministrazione, in fondo e ancora, si prenda per lo più atto di decisioni prese altrove e da altri.  E (forse) il requisito dell’indipendenza non è così efficace e andrebbe sostituito con quello dell’autonomia.

Qui mi fermo e lascio ad altri l’arduo compito di trattarne il futuro.

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