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L’efficienza informativa dei mercati finanziari USA, secondo la Corte Suprema

I mercati finanziari sono efficienti nell'elaborare le informazioni e rifletterle sui prezzi delle attività? Questa domanda, circa l'efficienza informativa del mercato, ha stimolato innumerevoli studi di economisti, esperti di finanza, statistici, almeno

Efficienza informativa e diritto: un caso americano

I mercati finanziari sono efficienti nell’elaborare le informazioni e rifletterle sui prezzi delle attività? Questa domanda, circa l’efficienza informativa del mercato, ha stimolato innumerevoli studi di economisti, esperti di finanza, statistici, almeno da quando il quadro teorico della questione è stato definito da Eugene Fama nei suoi rivoluzionari studi della fine degli anni Sessanta. La risposta, almeno per quanto riguarda gli economisti, è tutt’altro che univoca, sebbene molti commentatori, soprattutto dopo la crisi finanziaria, tendono a ritenere che i mercati non sono in grado di “scontare” rapidamente e correttamente tutte le informazioni disponibili.

Mercato efficiente o insider trading?

D’altro lato, esistono degli aneddoti estremamente curiosi. Ad esempio, quando nel 1986 lo Space Shuttle Challenger esplose tragicamente nei cieli della Florida, uccidendo i sette membri dell’equipaggio e segnando una battuta d’arresto del programma spaziale americano, una commissione d’inchiesta composta da scienziati e tecnici impiegò diversi mesi per determinare la causa dell’incidente. Ebbene, a distanza di sole poche ore dalla tragedia trasmessa in televisione, le azioni di una società quotata, fornitrice della NASA, crollarono rapidamente. L’inchiesta ufficiale chiarì solo dopo parecchio tempo che era proprio quella società ad aver fornito il componente difettoso che causò il disastro. Si potrebbe allora dire che i mercati sono stati più “efficienti” degli ingegneri della NASA, e hanno immediatamente scoperto il colpevole e reagito? Forse, o forse si trattò semplicemente di un caso di insider trading.

Una storica decisione della Corte Suprema USA

Ciò che possiamo tuttavia concludere è che né l’accademia né l’esperienza concreta consentono di rispondere con sicurezza alla domanda se i mercati sono efficienti. La questione non ha solo rilievo teorico: come noto, infatti, l’efficienza informativa, e quindi l’abilità dei mercati di “prezzare” correttamente azioni, obbligazioni e altri strumenti, è spesso invocata da politici, lobbisti e regolamentatori per giustificare la necessità (o meno) di regole. Se i mercati sono efficienti, si dice, vi è meno bisogno di norme, autorità di controllo e giudici: gli investitori si possono proteggere da soli.
Ma quale è la risposta che il diritto – o, meglio, i giudici – danno a questa domanda? Almeno negli Stati Uniti, nel giugno del 2014, la Corte Suprema, uno degli organi giurisdizionali più autorevoli al mondo, ha affermato con una certa chiarezza che i mercati devono considerarsi efficienti. Il caso è Halliburton v. Erica P. John Fund, forse la più importante controversia in materia di mercati finanziari decisa negli Stati Uniti negli ultimi anni, seguita con apprensione e speranza da migliaia di investitori, società, managers e avvocati.
Per comprende la portata di questa storica decisione, semplificando un po’, si deve ricordare che, almeno in certi tipi di controversie – per la precisione, quelle basate sulla Rule 10b-5 –, negli Stati Uniti, gli investitori che intendono ottenere il risarcimento di danni causati dalla diffusione di informazioni false al mercato (ad esempio, quando gli amministratori hanno pubblicato un bilancio falsamente positivo), dovrebbero dimostrare di aver fatto affidamento sulle informazioni scorrette nel prendere le proprie decisioni di investimento (cosiddetta reliance). Questa prova, tuttavia, è diabolica: salvo casi estremi, è molto difficile che un investitore abbia tutti gli elementi per convincere il giudice che, se il bilancio fosse stato diverso, non avrebbe investito.
Confermando un proprio precedente degli anni Ottanta, in Halliburton la Corte Suprema ha detto che gli investitori non devono fornire questa difficile prova per prevalere in giudizio, proprio perché i mercati sarebbero efficienti. Infatti, poiché tutte le informazioni pubblicamente disponibili – incluse le informazioni false – sono riflesse nei prezzi, e poiché certamente gli investitori decidono se e come investire quantomeno osservando i prezzi, la dimostrazione di aver fatto affidamento sulle notizie false diffuse non è necessaria. In altre parole, una bugia è per definizione incorporata nei prezzi, e quindi è implicitamente rilevante per gli investitori.
Una decisione diversa avrebbe praticamente reso impossibile la promozione di class actions, anche se è verosimile che, in caso di diverso esito della vicenda giudiziaria, il Presidente o il Congresso sarebbero intervenuti con nuove norme a tutela degli investitori.
Ciò che è interessante, in questo caso, è anche una sorta di eterogenesi dei fini. Le teorie sull’efficienza del mercato, come abbiamo ricordato prima, sono solitamente invocate per escludere la necessità di più incisivi strumenti di tutela dei risparmiatori. Ebbene, in questo caso i giudici americani le hanno invece utilizzate per giungere a una conclusione che favorisce la protezione degli investitori.

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Marco Ventoruzzo, membro del Comitato editoriale della rivista NED; Penn State Dickinson School of Law (USA), Università Bocconi (Milano), ([email protected])


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