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Le imprese al lavoro sui programmi di decarbonizzazione

La definizione di un piano di transizione diventa un passaggio obbligato che impone la collaborazione fra board e funzioni aziendali chiamate a valutare rischi e opportunità

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L’obiettivo di una completa transizione ecologica che porti l’Europa a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050 è un faro della politica comunitaria. Questa si concretizza con una serie di iniziative racchiuse nel “Fit for 55”, il pacchetto di riforme e di regolamenti economici e sociali che mirano alla riduzione delle emissioni che provocano il cambiamento climatico. Presentato nel 2021 ha l’obiettivo di allineare le politiche dei singoli Paesi verso un taglio del 55% dei gas serra entro il 2030 rispetto ai livelli rilevati nel 1990.

Un target ambizioso che impone un impegno massiccio di tutti i soggetti coinvolti, dai governi ai cittadini passando ovviamente per il mondo produttivo. Quest’ultimo in particolare è chiamato a mettere in atto pratiche di mitigazione che non possono essere lasciate al caso ma che, nel rispetto della normativa comunitaria, necessitano di una corretta pianificazione. Soltanto in questo modo, infatti, si potrà realizzare un circolo virtuoso verso nuove opportunità di business. In questo senso, come evidenziato nel corso del lunch talk dal titolo organizzato da Nedcommunity dal titolo “Climate Change e Programmi di Decarbonizzazione”, la definizione di un piano di transizione diventa un passaggio obbligato con tutto quello che comporta in termini di investimenti, definizione di strategie e impatto sul modello produttivo.

Del resto, come ha sottolineato Manuela Macchi, associata Nedcommunity e membro del RG La governance in materia di rischi e controlli coordinato da Patrizia Giangualano “la situazione sta diventando sempre più critica. Il segretario generale dell’Onu ha ricordato quanto sia urgente mettere in atto azioni da parte di tutto l’ecosistema, in primis le imprese. L’Unione Europea si è posta degli obiettivi ambiziosi con il Green Deal che vediamo riflessi nella CSRD: si chiede di rendicontare – senza il filtro dell’analisi di materialità – in che modo l’impresa influisca sul cambiamento climatico, in termini di impatti significativi attuali e potenziali, oltre che chiare politiche, obiettivi e azioni di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici seguendo le linee guida TCFD. Il ruolo dei consigli di amministrazione è fondamentale per fronteggiare le sfide che derivano dal cambiamento climatico e promuovere l’inclusione degli scenari climatici nelle discussioni sul piano strategico e nel risk (e opportunity, di cui si parla ancora poco) management. Il board, per una governance climatica efficace, deve rendere conto della resilienza della società rispetto ai cambiamenti potenziali nello scenario di riferimento in una prospettiva di medio-lungo termine”.

Un percorso complesso che Stefano Giacomelli, associate partner di KPMG Climate Change and Sustainability Services ha descritto nel corso del suo intervento ponendo l’accento in particolare sullo stretto legame fra la definizione di un corretto transition plan e il buon ottenimento di risultati in futuro. “Tutte le grandi aziende dovranno dotarsi di un piano di transizione attraverso un complesso iter che tenga conto anche dei molteplici aspetti normativi. Bisogna in primo luogo prendere in considerazione e partire dai rischi e comprendere come un’azienda sarà valutata sul fronte della loro gestione anche da parte del mondo finanziario. Si pensi, infatti, all’impatto dei rischi fisici sulla value chain. Quattro anni fa l’alluvione in Germania ha avuto un impatto devastante sulla catena di fornitura dell’automotive e l’intero comparto in Europa ha patito dei ritardi produttivi. Più difficili da valutare sono invece i rischi di transizione anche dal punto di vista quantitativo: richiedono infatti una capacità di visione all’intero contesto”. Per questo motivo le aziende, nel processo di gestione delle tematiche Esg e in particolare dei cosiddetti ‘climate change risks’, devono sviluppare un approccio prioritario sulla base delle best practice di settore e delle esperienze professionali.

Federica Ruzzi, chief sustainability officer di Golden Goose, brand di lusso specializzato nella produzione di calzature, ha ricordato l’impegno crescente dell’azienda su questo fronte: “Due anni fa abbiamo iniziato a lavorare sulla sostenibilità partendo dai nostri punti di forza e di debolezza per poter strutturare un piano strategico integrato con quello di business. Quindi abbiamo creato un team dedicato e portato avanti attività di sensibilizzazione interna. Siamo consapevoli di come il fashion sia molto impattante sull’ambiente e per questo riteniamo sia necessario un impegno a 360 gradi sul fronte Esg. L’ultimo anno e mezzo ci ha visti focalizzati, infatti, su attività dedicate all’ambiente e abbiamo iniziato un percorso strutturato e guidato da partner esterni per andare a mappare i principali impatti della nostra attività”.

Clementina Chiari, sustainability manager di Golden Goose, ha esposto l’approccio metodologico che ha portato alla definizione dell’attuale strategia di decarbonizzazione: “Si è partiti, oltre che dall’analisi del contesto normativo, anche da un’attenta osservazione del nostro posizionamento rispetto ai competitor (best practice da portare sul tavolo); quindi siamo passati alla GHG Inventory, ovvero all’analisi della nostra impronta carbon; in seguito abbiamo individuato iniziative in grado di apportare un miglioramento delle nostre performance e infine siamo passati alla definizione dei nostri Science based targets. È emerso che gran parte delle nostre emissioni sono riconducibili alla nostra value chain, le cosiddette emissioni indirette Scope 3, pari al 96,5% del totale); quelle dirette (Scope 1 e 2) sono prodotte dagli uffici, dai nostri negozi e dalla flotta aziendale. Per questo motivo, con il coinvolgimento del board e di tutte le funzioni abbiamo definito una strategia solida e completa di riduzione della nostra carbon footprint. Una strategia ovviamente in continua evoluzione ma con dei punti fissi. Lavoreremo molto molto sugli aspetti della logistica e della distribuzione, per abbattere le emissioni indirette, scommetteremo sull’uso di energia rinnovabile per tagliare le emissioni dirette, e sull’adozione di materiali a basso impatto ambientale”.

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