Altri articoli

Le banche italiane sono peggio delle consorelle europee?

Da tempo le banche italiane sono oggetto di severi interventi da parte dell’autorità monetaria europea, mentre quelle europee, pur avendo anch’esse qualche problema, vengono lasciate tranquille. Si pensi che la seconda banca UE per dimensioni, la

di Ivano Francesco Mattei(*)

PREMESSA EDITORIALE SULLA FUSIONE TRA BANCO POPOLARE E BPM

Nel suo blog su www.firstonline.info , il 5 aprile scorso Fulvio Coltorti, già Direttore emerito dell’area Studi di Mediobanca e Capo ufficio Studi fin dai tempi di Enrico Cuccia, ha fatto il punto sulla fusione tra Banca Popolare e BPM: “Dopo le nozze e la trasformazione in SpA, gli ex soci di BPM avranno il 46% e quelli del Banco Popolare il 36% ma a menare la danza sarà il 18% di investitori che sottoscriveranno l’aumento di capitale curato da Mediobanca: chi catturerà questa ristretta cerchia?”
Molto si è detto su questa riforma che – secondo Coltorti – rischia di dare un colpo definitivo alle banche del territorio, ovvero a quegli istituti che costituivano il supporto principale al finanziamento delle piccole e medie imprese.

Da parte nostra accogliamo la richiesta di un amico lettore, Ivano Francesco Mattei che, a titolo personale, ci ha chiesto di poter esprimere alcune critiche alle misure prese dalla BCE per realizzare questa operazione.

Da tempo le banche italiane sono oggetto di severi interventi da parte dell’autorità

monetaria europea, mentre quelle europee, pur avendo anch’esse qualche problema, vengono lasciate tranquille.

Si pensi che la seconda banca UE per dimensioni, la Deutsche Bank, pur avendo ricevuto una sanzione di circa € 2,5 miliardi per manipolazione del Libor oppure perso circa € 6 miliardi per svalutazioni titoli, agli occhi della BCE non ha visto diminuire la credibilità del suo A.D. e dei sistemi di controllo interni. BCE.

Le due banche (BP e BPM) in fase di fusione sono quotate e hanno superato con ottimi voti le attente verifiche BCE quali la Supervisory Review and Evaluation Process (SREP).

Non va dimenticato che, nel 2015, rappresentanti BCE erano presenti nei CdA delle banche poste sotto il controllo della Vigilanza Europea, per cui disponevano di tutta la documentazione. Inoltre, tutte le segnalazioni effettuate nel corso del 2015 a Bankitalia e a BCE hanno dimostrato che i conti dei due Gruppi erano in ordine: i bilanci erano certificati e la BCE non ha sollevato alcuna eccezione, né richiesta di rettifica.

Perché, dunque dovrebbero sorgere problemi in fase di fusione tra le due banche? Il nuovo gruppo sarebbe rafforzato da una serie di sinergie ben valutate nel piano presentato alla BCE.

C’è da chiedersi perché la BCE si è posta di traverso chiedendo in sostanza un aumento di capitale di 1 miliardo, con quello che ne è conseguito in termini di tenuta dei valori di borsa?

A parer mio, le spiegazioni fornite da BCE risultano un po’ confuse e contraddittorie.

Dato che BP ha deciso di assumersi l’onere dell’intero aumento di capitale, non mi sembra necessario analizzare la situazione di BPM, se non per evidenziare che la valutazione dei crediti è stata eseguita applicando i modelli standard BCE e che se avesse applicato i modelli interni di BP avrebbe evidenziato un miglioramento patrimoniale  stimabile tra i 600 e 700 milioni di Euro. Ciò significherebbe che la presunta carenza di capitale potrebbe essere aumentata del 70%?

Bisogna, invece, concentrare l’analisi su BP che utilizza metodi personalizzati (IRB), i quali consentono una più favorevole riduzione delle svalutazioni dei crediti. Non è un regalo della BCE, né un’astuzia contabile. E’ il frutto di un arduo lavoro fatto dal management del Banco che ha dimostrato alla Vigilanza BCE la qualità dei crediti e delle garanzie a presidio dei rischi connessi.

Ma su tale scenario positivo, improvvisamente la BCE interviene e decide che il terzo gruppo bancario italiano deve avere una dotazione in linea con i migliori gruppi europei. C’è da chiedersi il perché, visto che BP rispetta i diversi “paletti” regolamentari.

Forse le banche di riferimento sono quelle tedesche? No, e la situazione non muta considerando le altre italiane.

Secondo me, il problema è un altro: l’Italia ha lasciato senza difese alcuni settori economici strategici, mentre Francia e Germania hanno innalzato da tempo barriere a difesa delle loro imprese, mai rimosse. Uno di questi settori è proprio il bancario dichiarato strategico, si consideri che in Germania il 40% dell’intero sistema bancario è in mano pubblica. La Germania – paladina della rigidità imposta agli altri – ha immesso nel proprio sistema bancario fondi pubblici direttamente o mediante garanzie circa 270 miliardi ma in questo caso la BCE non ha aperto bocca: ha deciso che “quanto fatto prima dell’ingresso della Vigilanza Europea non ha rilevanza”. Mi sarebbe piaciuto vedere un analogo comportamento quando sono “saltate” le quattro banchette italiane e il FTID era pronto a intervenire.

Un altro fattore che genera perplessità è l’imposizione di ridurre (ergo liquidare) in tempi predeterminati e rapidi lo stock dei non performing loans. E’ noto che BP ha una quota significativa di crediti problematici nel settore immobiliare. Ma storicamente in Italia ciò ha un significato ben diverso di quello che ha negli altri Paesi europei. Infatti, è dimostrato che, trattati opportunamente i crediti, le perdite in questo settore sono minori poiché le garanzie ottenute e la pesante riduzione dei tassi di mercato hanno fatto sì che molte situazioni rientrassero nella fisiologia del fenomeno, seppure lo stock sia ancora significativo. Un importante indicatore è la riduzione delle aste immobiliari legate al recupero del credito.

Sono convinto che imporre la cessione in tempi brevi ad un’impresa dotata di buone possibilità di recupero del credito e che sia in grado di contenere le perdite potenziali su livelli minimi, abbia un duplice impatto. Il primo sul prezzo: pressata dalla scadenza la banca non può decidere liberamente il prezzo a cui cederli ma deve subirlo. Il secondo è che un’offerta massiccia contrae i prezzi di mercato..

Il risultato di tali azioni sono perdite certe ed ingiuste, non subite nel normale svolgimento dell’attività ma come se la banca dovesse essere messa in liquidazione. La differenza non è irrilevante: non meno del 20% del valore nominale.

E’ sulla base di questa valutazione di rapido realizzo che la BCE basa l’imposizione d’aumento di capitale? Ma allora il problema non è la banca lo è la BCE.

Infatti, come mai dovrebbe valutare a valore di realizzo solo una posta del bilancio e non l’intero documento? Come mai BCE non interviene anche sul passivo chiedendo alle banche di eliminare la valutazione ai valori di mercato? Se si applicasse questo criterio, quelle messe peggio otterrebbero ingiusti benefici poiché svalutano il proprio debito. In parole povere il debitore trarrebbe vantaggio dal peggioramento di qualità del suo credito.

Ci sarebbe ancora tanto da dire su casi analoghi ma quanto visto mi pare sufficiente per chiedersi se la Vigilanza BCE sia adeguata al ruolo che è chiamata a svolgere, se è consapevole delle conseguenze delle sue azioni, e se possono esserci delle chiavi di lettura differenti.

Per esempio, considerando che non è possibile determinare un livello di patrimonio adeguato per coprire i rischi di una attività – quelli sinora utilizzati prima o poi sono falliti, vedasi Lehman che aveva un patrimonio di vigilanza superiore al 12% eppure è saltata – ritengo che dovrebbe venir meglio analizzato il peso dei rischi assegnati per settore di attività e di indebitamento.

Il credito navale assorbe un livello infimo di capitale di vigilanza. Come mai questa facilitazione, è forse marginale nel business? Non direi, poiché la Grecia è il principale utilizzatore europeo di credito navale però spostando l’attenzione sui creditori si scopre che la Germania è il principale attore di questo mercato. Quando la Grecia è stata prossima al fallimento le banche tedesche si sono preoccupate di svalutare tutti i relativi crediti? Non mi risulta. In compenso, le grandi compagnie di navigazione greche hanno restituito alle società di leasing tedesche le navi che avevano in dotazione per poi presentare offerte ribassate di acquisto e/o locazione per i medesimi mezzi.

Per contro, quando la BCE è venuta in Italia ad analizzare i crediti delle banche soggette al suo controllo, ha subito imposto di dimezzare il valore della garanzia a tutela del credito. Eppure queste banche applicano ai loro bilanci gli IAS e almeno una volta all’anno fanno verificare a consulenti esterni il valore di mercato della garanzia (cioè degli immobili) riducendo, quando è il caso, suo il valore. La decisione non è stata senza conseguenze: svalutare sic et simpliciter le garanzie ha comportato che i mutui con un credito residuo superiore alla garanzia hanno subito una svalutazione pari alla differenza. Una decisione ingiustificata alla quale i nostri banchieri si sono conformati “per evitare problemi”. Così non è stato.

Oggi nessuna banca è esente dal pericolo di questo tipo di interventi: gli esempi sono numerosi per cui non intendo dilungarmi.

Alla luce dei problemi derivanti dalla Vigilanza BCE, quali l’inasprimento dei regolamenti e l’innalzamento dei requisiti di capitale, aggravati dal momento storico che vede tassi negativi con riduzione dei margini di una banca tradizionale, nonché da una crisi perdurante, con il conseguente aumento delle insolvenze, per mantenere adeguati livelli di utili, secondo me, i banchieri hanno solo due strade. La prima, seguita dalle principali banche italiane, è quella virtuosa di mantenere bassi i rischi aumentando la qualità dei propri assets. La seconda, non virtuosa, è di aumentare ad ogni costo i ricavi, aumentando molto i rischi, con la conseguenza di aumentare le pratiche illecite (Deutsche Bank docet) alle quali sembra che la Vigilanza BCE non intenda porre un freno.

Intanto le imprese italiane, che storicamente hanno sempre fatto un ricorso al credito bancario maggiore delle concorrenti estere, trovandosi in difficoltà a ottenere credito, saranno costrette a ricorrere a fonti di finanziamento alternativo (le imprese più prestigiose) oppure a cedere la proprietà agli stranieri.

Male per l’Italia? E’ ovvio, ma bene per chi teme di più la nostra concorrenza nei suoi campi di riferimento: la Germania.

La conclusione è che la BCE non abbia inteso valutare la fusione BP-BPM ma dare un segnale al Governo del Paese, che ha recepito immediatamente. Peraltro sono convinto che difendere il nostro sistema bancario, fino a prova contraria, competitivo, non è una manifestazione di nazionalismo o di anti-europeismo. E’ tutelare un settore strategico per l’economia del Paese.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

(*) Ivano Francesco Mattei Dirigente bancario; già membro del Consiglio Direttivo AIAF – Associazione Italiana Analisti Finanziari. ([email protected]).


  • Condividi articolo:
button up site