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La sostenibilità entra nell’executive compensation

Gli investitori più influenti e i policy maker stanno sottolineando in misura crescente la centralità dei fattori ESG: segnali raccolti anche dai comitati per la remunerazione

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Gli indicatori ESG entrano a pieno diritto nella compensation del management. Secondo Mercer Italia, nel 2019, il 69% delle FTSE Mib li ha inseriti negli incentivi di breve termine e il 44% in quelli di lungo termine. Il dato è emerso nel corso del webinar organizzato da Nedcommunity dal titolo ESG ed Executive Compensation: Lo stato dell’arte e gli scenari possibili nel corso del quale si è fatto il punto sulle pratiche esistenti e sui nuovi modelli di remunerazione.

Un tema che, come ha sottolineato il presidente di Nedcommunity, Maria Pierdicchi, è da tempo al centro del dibattito all’interno dell’associazione tanto che presto sarà lanciato “un gruppo di lavoro sulla remunerazione”. Intanto, però, “serve una maggiore attenzione da parte degli investitori oltre che l’adozione di indicatori condivisi. Inoltre sono ancora molte le aziende che non hanno inglobato i fattori ESG nella loro strategia, soprattutto a lungo termine”.

Di certo, però, qualcosa sta cambiando soprattutto fra le grandi imprese come ha ribadito Patrizia Giangualano, presidente Comitato Remunerazioni Leonardo, consigliere di Nedcommunity che ha sottolineato come “da parte delle imprese si assiste a una spinta sistemica verso il successo sostenibile. Le DNF, per esempio, sono sempre più rappresentative di questo impegno”.

Un impegno fondamentale per Massimiliano Bianco, amministratore delegato Gruppo IREN, tanto che “la strategia di lungo termine della nostra multiutility è caratterizzata oggi da una stretta integrazione degli obiettivi ESG con l’azione industriale. Venendo al tema della remunerazione abbiamo individuato ben cinque macrocategorie (attenzione all’ambiente, cura delle risorse idriche, decarbonizzazione, città resilienti e persone) all’interno delle quali sono ricondotti gli obiettivi ESG. Nel 2021 il mix dei parametri individuati in queste cinque aree pesano anche fino al 20% della componente variabile del compenso”.

Qualcosa si muove anche nelle aziende familiari come ha ribadito Matteo Lunelli, presidente & ceo delle Cantine Ferrari: “Di certo le imprese come la nostra sono indietro in termini di formalizzazione di questi parametri ma ciò non vuol dire che non ci sia attenzione al tema della sostenibilità. Il Gruppo Lunelli per esempio conta su un comitato di sostenibilità e ha nominato un sustainability manager per ogni brand. Ci siamo inoltre dotati di un comitato remunerazione che ha il compito di definire il compenso dei familiari che svolgono funzione di manager all’interno dell’azienda e presto prenderemo in considerazione anche i parametri ESG”.

Del resto gli stakeholders richiedono una crescente attenzione nei confronti di questi temi. Maria Elena Cappello, consigliere di amministrazione Prysmian, ricorda che “il 63% dei Millennials oggi preferisce lavorare per aziende in grado di migliorare la società piuttosto che creare profitto. Si capisce quindi che la sostenibilità rappresenta un tema da cui le imprese non possono prescindere. Ovviamente questo cambiamento non è semplice né privo di rischi”.

Proprio per questo motivo diventa fondamentale poter contare su una maggiore standardizzazione degli indicatori che, come ha spiegato Lino Cinquini, docente della Scuola Superiore Sant’Anna, Istituto di Management “non devono necessariamente essere quantitativi. Spesso si tende a gestire più la misura rispetto alla performance che la misura vorrebbe rappresentare. Questo approccio può anche essere foriero di distorsioni operative o di conseguenze inaspettate. Ecco perché sta emergendo l’esplorazione verso metriche non quantitative come il reporting narrativo che può rappresentare uno strumento di riduzione della distorsione e rivelarsi importante nel percorso di miglioramento del KPI”.

A prescindere dagli indicatori, però, Guido Ferrarini, presidente Comitato Scientifico di Nedcommunity, ha sottolineato come “la leva della sostenibilità consente di migliorare la performance dell’impresa ma anche di incrementare il valore complessivo dell’azienda. In questo senso è accettabile che la remunerazione rappresenti un incentivo anche alla creazione di valore sostenibile. Qualche dubbio sussiste invece sul fatto se la remunerazione debba essere usata come incentivo direttamente per la sostenibilità”.

Come ha anche sostenuto  Sandro Catani, senior advisor Mercer Italia, presidente Collegio dei Saggi di Nedcommunity che si chiede se sia “utile arricchire ulteriormente la remunerazione del management anche di questi elementi. Non c’è il rischio di pagare di più per prestazioni che non sono effettive?. Perché la decisione di  un CdA di introdurre gli ESG nella remunerazione non è automatica. Il percorso è  lungo e complesso. Richiede una più sicura identificazione e standardizzazione degli indicatori materiali di lungo termine, target predeterminati e misurabili; la  loro rilevazione e comparabilità. E, certo,  un’armoniosa evoluzione della cultura manageriale”.

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