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La Società Benefit ha esaurito la sua missione innovativa?

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Il fenomeno delle Società Benefit in Italia è nato nel 2015 con l’emanazione della legge 208, la quale, nei commi dal 376 al 383, ha previsto l’introduzione di una nuova tipologia di Società che perseguisse, oltre al profitto per gli azionisti, anche il “beneficio comune”, cioè l’obiettivo di perseguire uno o più effetti positivi per altri portatori di interesse: l’ambiente, la comunità, i collaboratori, i fornitori.

La legge è stata l’espressione di un modello più evoluto di business aziendale che iniziava a formarsi nel mondo. L’Italia è stata un esempio virtuoso del cambiamento in quanto è stata la prima nazione ad introdurre la nuova tipologia di società dopo gli Stati Uniti, dove il fenomeno delle Benefit Corporation esisteva già dal 2010 in alcuni Stati.

Tre criteri da rispettare

La normativa prevede che le società, per essere Benefit, debbano rispettare tre criteri: inserire all’interno del proprio oggetto sociale la volontà di perseguire il già citato “beneficio comune”; designare un “responsabile d’impatto” atto alla supervisione degli scopi inseriti nell’oggetto sociale; produrre una relazione annuale, la c.d. “relazione d’impatto”, nella quale rendicontare le iniziative attuate e da attuare per il perseguimento dei propri scopi di carattere sociale e ambientale.  

La novità normativa è stata ben accolta dalle imprese italiane. Dopo il primo anno di applicazione della legge sono state circa 100 le società che hanno deciso di costituirsi o di trasformarsi in Società Benefit, ma la vera diffusione è avvenuta a partire dal 2020: a marzo 2020 si contavano infatti 511 Benefit nel territorio italiano, numero che è poi salito a 926 nell’aprile 2021 e a 1922 nel marzo 2022.

Il modello societario delle Benefit pone questioni in termini di applicazione pratica dei suoi nuovi concetti nonché potenziali criticità ed opportunità, per migliorare l’efficacia della norma. Il problema maggiore riguarda la difficoltà a verificare le relazioni di impatto e di misurare il “beneficio comune”.

Ma una seconda considerazione è ancora più rilevante: la Società Benefit ha esaurito la sua missione di innovazione stante il cambiamento in atto nel paradigma dell’Impresa e del Purpose? Tale tipologia di Società è infatti nata grazie all’inserimento nell’oggetto sociale del perseguimento del “beneficio comune”, ma tale finalità è ormai forse diventata il paradigma concettuale preponderante della nuova teoria d’impresa, con un’evoluzione verso una maggiore considerazione degli stakeholder, accanto agli shareholder. In questo contesto si inserisce, per esempio, lo Statement on the Purpose of a Corporation, ed un altro insieme di forze che stanno imponendo un cambiamento nelle strategie d’impresa. Tra queste, le nuove politiche di gestione degli investitori, a partire della ormai tradizionale lettera di Larry Fink di Black Rock ai ceo delle grandi aziende del mondo, e le mutate preferenze dei consumatori.  Tutte queste Società, cioè quelle che stanno progressivamente prendendo in considerazione le tematiche ESG per adeguarsi ai cambiamenti normativi e alle preferenze dei consumatori, possono essere considerate intrinsecamente Benefit?

Il successo sostenibile

In questo contesto si inserisce peraltro il Codice di Corporate Governance emendato nel 2020. Il nuovo codice ha infatti introdotto il concetto di “successo sostenibile”. Alcune Società quotate hanno quindi già aggiunto nel proprio statuto talune considerazioni circa il perseguimento dello “sviluppo sostenibile”, come Snam, Hera, Sesa, Illimity, e sono già obbligate a redigere annualmente un’informativa circa le proprie performance ESG, come previsto dal Decreto Legislativo 254 del 2016. Tali società potrebbero quindi essere facilmente definite Benefit anch’esse.

Oltre al citato nuovo Codice, esistono altri fattori che stanno spingendo le imprese a adeguarsi alle crescenti richieste in tema di sostenibilità. A livello europeo, infatti, una serie di norme (tra le quali si ricorda la Corporate Sustainability Reporting Directive[4] e la versione finale dei 12 European Sustainability Reporting Standards elaborati dall’EFRAG) stanno progressivamente obbligando le imprese a rispettare una serie di vincoli in termini di performance di sostenibilità. Vi potrebbe quindi essere il rischio che, a causa di queste spinte convergenti verso una considerazione maggiore degli ESG, si possano rendere di fatto già obsolete, o comunque svuotate parzialmente del proprio significato, le Società Benefit, così come oggi intese dal Legislatore

Presto un seminario sul tema

Da questa breve disamina emerge il quesito se sia necessaria una norma che permetta di aggiungere “Società Benefit” al fondo della propria ragione sociale per testimoniare la propria sostenibilità e incentivare le imprese ad essere maggiormente attente alle tematiche ESG, se poi per farlo non si è necessariamente sottoposti a vincoli normativi trasparenti in termini di output. Se si vogliono rendere le imprese più sostenibili le leve più efficaci attraverso le quali agire potrebbero essere altre, perché l’introduzione della norma sulle Benefit forse non è lo strumento più efficace, in un contesto di forte e diffusa espansione del fenomeno. Un tema di grande attualità sul quale Nedcommunity organizzerà uno dei primi seminari del 2023 mettendo attorno a un tavolo, come di consueto, esperti di corporate governance, esponenti del mondo dell’impresa e dell’Università.

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