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La crisi Ucraina e l’”età dell’incertezza”

I venti di guerra scatenati dalla Russia sembrano ripiombare il Vecchio Continente in una fase della storia in cui i rapporti fra Stati erano regolati dalla violenza. Ma si tratta davvero di un ritorno al passato?

Per avere un’idea di quanto l’invasione russa dell’Ucraina ci riproietti in un passato che pensavamo (o quantomeno speravamo) ormai lontano è sufficiente alzare lo sguardo appena più a nord dell’Italia, verso uno dei “Paesi guida” dell’Unione europea: la Germania.

Sono bastati tre giorni dall’inizio dell’invasione perché Berlino annunciasse l’intenzione di aumentare le proprie spese per la difesa. Sovvertendo quasi dal giorno alla notte le tendenze “pacifiste” della politica tedesca degli ultimi trent’anni, e impegnando un governo che include socialdemocratici e verdi (non certo guerrafondai) a superare persino la soglia del 2% del PIL considerata l’obiettivo “ottimale” dei Paesi NATO.

Si tratta di un avvenimento simbolico ma molto importante, per due motivi. Innanzitutto perché quello NATO è un obiettivo che i Paesi dell’Alleanza atlantica si sono impegnati a raggiungere in maniera formale proprio dopo lo scoppio del conflitto russo-ucraino nel 2014. C’è dunque un legame molto stretto tra la scelta di aumentare le spese per la difesa e la diffusa percezione di minor sicurezza causata da ciò che è accaduto nel corso degli ultimi otto anni ai confini orientali dell’Europa, e che l’invasione ha amplificato a dismisura.

Per la Germania, inoltre, il simbolo è persino più potente. Il superamento della soglia del 2% del PIL in spese per la difesa non avviene infatti da un anno specifico: il 1990, quello della riunificazione delle due Germanie a pochi mesi dalla caduta del muro di Berlino che sancì la fine della guerra fredda e avrebbe in breve tempo portato alla dissoluzione dell’Unione sovietica.

Una nuova guerra fredda? Non proprio

Allargando lo sguardo a tutta l’Europa, due avvenimenti descrivono benissimo la situazione. Il primo è la decisione della NATO di rafforzare ulteriormente il proprio fianco orientale: se nel 2014 si era passati da 13.000 a 40.000 soldati, adesso la scelta è di inviare quattro altri battle groups, cioè gruppi di risposta rapida, da affiancare ai quattro già esistenti. Il secondo avvenimento è l’imminente decisione di Finlandia e Svezia sul proprio possibile ingresso nell’alleanza, mettendo potenzialmente la parola fine a due delle cinque “neutralità” oggi esistenti in Europa (i due paesi nordici, assieme ad Austria, Irlanda e Svizzera).

Una nuova guerra fredda, dunque? Si vedrà. Certo è che molto separa l’attuale clima di scontro e contrapposizione tra Russia e occidente, oggi, a quello tra i due blocchi tra il 1947 e il 1991. Innanzitutto la Russia di Putin rimane un “gigante”, ma molto più piccolo sul piano economico di quanto non fosse l’Unione sovietica nel corso della guerra fredda, e sprovvisto dell’apparato ideologico su cui il Cremlino poteva contare per fare alleati nel mondo. Per controbilanciare, Mosca è oggi costretta a invocare un maggior “multipolarismo” contro lo “strapotere dell’Occidente”: discorso che continua a far presa, ma che difficilmente può essere paragonato all’Internazionale Comunista e poi al Dipartimento internazionale del Comitato centrale del PCUS. Allo stesso tempo il campo ideologico dei “multipolaristi” oggi non è certo guidato da Mosca, ma da Pechino. Una situazione quasi ribaltata rispetto a quella della guerra fredda.

Inoltre, la Russia di oggi è anche molto più “contenuta” e “isolata” di quanto fosse l’Unione sovietica. Anche al netto dei pretesti elencati da Putin per invadere l’Ucraina, tra cui quello dell’accerchiamento NATO, è tuttavia vero che l’Alleanza atlantica si è progressivamente allargata negli anni Novanta, fino a includere non solo tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia, ma addirittura le Repubbliche baltiche che fino al 1990-91 erano parte integrante dell’URSS.

Infine, malgrado i “venti di guerra” proprio l’assenza di una forte contrapposizione ideologica spinge anche le opinioni pubbliche dei Paesi europei a maggiori cautele, che si fanno progressivamente e legittimamente spazio anche nel dibattito pubblico. Insomma, se di contrapposizione più rigida e violenta si può parlare in Europa, i contorni di questa nuova contrapposizione sono molto più incerti e sfumati rispetto a quelli della guerra fredda. Siamo, in fin dei conti, pienamente ancora dentro la “età dell’incertezza”.

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