Altri articoli

Italy Corporate Governance Conference 2015

Il 3 e 4 dicembre 2015, a Milano, a Palazzo Mezzanotte, si è tenuta la prima edizione di questo Convegno organizzato da Assogestioni ed Assonime in cooperazione con l’OCSE e col supporto di Borsa Italiana. Scopo del convegno che ha visto la

a cura del Direttore responsabile

Il 3 e 4 dicembre 2015, a Milano, a Palazzo Mezzanotte, si è tenuta la prima edizione di questo Convegno organizzato da Assogestioni ed Assonime in cooperazione con l’OCSE e col supporto di Borsa Italiana.
Scopo del convegno che ha visto la partecipazione di tanti esponenti di primo piano delle istituzioni internazionali e della comunità finanziaria italiana è quello di offrire un forum annuale di discussione sullo “stato dell’arte” della corporate governance in Italia e sulla sua recente evoluzione.

L’indubbio interesse riscosso da questa iniziativa è stato confermato dalla notevole affluenza di pubblico qualificato che per due giornate ha riempito totalmente quella che è stata per tanti anni la sala delle contrattazioni della Borsa di Milano. In particolare abbiamo incontrato in prima fila la past President di Nedcommunity Rosalba Casiraghi e l’attuale Presidente Paola Schwizer.

Estremamente significativo e perfettamente in linea con lo spirito che anima l’azione svolta da Nedcommunity è stato il messaggio augurale inviato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

E’ importante proseguire su questa strada, con particolare attenzione alle procedure per le nomine, alla gestione del rischio e alle politiche di remunerazione, per porle in linea con la performance e la creazione di valore di lungo termine dell’impresa.
Oltre ai codici di condotta, ai sistemi di controlli interni e a una corporate governance efficiente, mi preme qui sottolineare come un bagaglio culturale appropriato e il radicamento di solidi valori etici siano condizioni essenziali per gestire correttamente un’impresa, rappresentando un baluardo fondamentale per il proseguimento delle finalità di un’efficiente gestione, tutelarne la reputazione e mantenere alta la fiducia degli investitori e della collettività.
Con questo spirito rivolgo il mio augurio di buon lavoro a tutti i partecipanti.

Nelle due giornate di lavori sono state affrontate le principali tematiche del governo delle società quotate alla Borsa di Milano: dal processo di nomina degli amministratori, agli strumenti per la creazione di valore a lungo termine dell’impresa, ai migliori standard di corporate governance e al ruolo che l’autoregolamentazione ha assunto nei mercati dei capitali. Sono stati anche illustrati i nuovi principi OCSE-G20 sulla corporate governance. Dal 1999 vige in Italia il “Codice di autodisciplina” formulato dal Comitato per la corporate governance al quale aderisce il 93% delle società quotate in Borsa. L’ultima versione del codice è stata approvata nel luglio dello scorso anno.

Nel suo intervento introduttivo, Gabriele Galateri di Genola, presidente del Comitato per la Corporate Governance e delle Assicurazioni Generali, ha sottolineato che il quadro della regolamentazione e autoregolamentazione italiana è stato rafforzato negli ultimi anni per assicurare un alto livello di trasparenza e un’elevata protezione degli investitori. Ha poi aggiunto che le regole applicabili alle società quotate italiane sono totalmente allineate al quadro regolatorio europeo e, in molti casi, sono più stringenti di quelle in vigore negli altri stati membri.
“Il Codice di italiano di autodisciplina – egli ha sottolineato – è basato, come molti altri, sul principio del comply-or-explain che consente un approccio più flessibile da parte degli emittenti. Anche se il Codice è generalmente riferito alle società quotate, accoglie una serie di best practices nazionali e internazionali che possono esser implementate da tutte le società, indipendentemente dalla loro quotazione. Partendo da questo presupposto, credo che il Codice di autodisciplina rappresenti un valido punto di riferimento per tutte le imprese, quotate e non. Una buona governance è di cruciale importanza al fine di aumentare la possibilità di accesso a differenti canali di finanziamento”.

La prima giornata del Convegno è stata coordinata dal Direttore Generale di Assogestioni Fabio Galli. Nella seconda giornata, coordinata dal Presidente di Assonime Stefano Micossi, si sono avuti, fra gli altri, gli interventi del Ministro dell’Economia e della Finanze Pier Carlo Padoan e del Vice Segretario Generale dell’OCSE Rintaro Tamaki.
I lavori del Convegno, che si sono tutti svolti in inglese, sono stati chiusi dal Presidente della Consob Giuseppe Vegas.

L’intervento di Ventoruzzo

Marco Ventoruzzo, membro del Comitato editoriale della rivista NED, docente alla Penn State Dickinson School of Law (USA) e all’Università Bocconi (Milano), col suo ottimo anglo-americano in perfetto stile “Ivy League”, più pragmatico che accademico, nella prima giornata di lavori ha fatto un interessante intervento di cui riteniamo utile riassumere la premessa ed alcuni suggerimenti sul “Voto di lista” italiano.

Egli ha iniziato sostenendo che la moderna attività societaria non è mai stata, non è e non deve essere una “istituzione” democratica. E’ cosa efficiente ed auspicabile che il potere di controllo e di voto vengano attribuiti a chiunque apporta e rischia più capitale. Le società, infatti devono partecipare al processo democratico ma, per quanto riguarda la loro attivita, la democrazia societaria rappresenta un ossimoro. Tuttavia, per garantire l’efficienza e la correttezza auspicata da tutti, i vertici hanno il dovere di assicurarsi che chiunque detenga il comando debba almeno accogliere alcune delle richieste degli altri stakeholders della società, che non possa trarne eccessivi vantaggi privati e che sopporti una quota adeguata di costi di gestione.
In questa prospettiva, i rappresentanti degli azionisti di minoranze, che spesso (ma non sempre) sono investitori istituzionali, devono avere occhi e orecchie nella stanza dei bottoni, devono avere una voce importante e chiara nella cabina di pilotaggio accanto al comandante. Non una voce più alta, ma una voce effettiva.

Dopo aver efficacemente illustrato l’U.S. Proxy Access (il voto per procura statunitense), Ventoruzzo ha ricordato che il “Voto di lista” italiano, introdotto all’epoca delle grandi privatizzazioni degli anni ’90 ed ora esteso a tutte le società quotate, rappresenta obiettivamente l’unico sistema che assicura un livello di proporzionalità nella composizione dei CdA.

E’ un sistema perfetto? No. Può essere migliorato? Si.

Tutti sappiamo bene che gli amministratori di minoranza non sono e non possono essere una panacea. Il voto di lista non è in alcun modo una garanzia di governance impeccabile. I motivi sono troppo ovvii per ripeterli in questa sede, dice Ventoruzzo. Ma rappresenta un pezzo importante del complesso mosaico di una buona governance. E’ anche inutile sottolineare che gli amministratori nominati dai diversi gruppi di azionisti non sono gli amministratori di “quegli azionisti”, allo stesso modo in cui un arbitro nominato da una parte non è l’avvocato di quella parte. Tutti gli amministratori sono al servizio della società e il loro dovere primario è di fare l’interesse dell’azienda.

Come migliorare il sistema?

Una soluzione delicata, ovviamente, è quella della definizione del legame tra diverse liste di candidati ma questa scelta richiede regole chiare e forti e molto difficilmente può essere formulata in modo puramente teorico.
Ventoruzzo ritiene più importante il fatto che uno o due amministratori di minoranza non siano sufficienti, almeno quando il Consiglio è composto da 12 o più membri. Ci sono numerosi studi che spiegano in modo convincente che, sulla base delle dinamiche di gruppo, sia preferibile una rappresentanza più consistente di investitori di minoranza. Perché – si chiede – non prendere in considerazione un sistema in cui, per esempio, in determinate condizioni, il 25% del board debba venir selezionato dalla lista secondo una graduatoria dei voti ottenuti? Le condizioni richieste potrebbero includere la percentuale dei voti ottenuti dalla lista e il fatto che essa non includa più del massimo del 25% consentito, la qualifichi per definizione come lista di minoranza di “azionisti non di controllo”. Il che sarebbe anche più corretto. Ventoruzzo, che non è il solo ad aver dato un’attenta occhiata ai risultati delle elezioni ed ai board negli ultimi due anni, fa alcune considerazioni. “Non vi annoierò con le cifre – dice – ma la seconda lista generalmente presentata dagli investitori istituzionali, spesso ha ricevuto ben più del 30% dei voti, ed in certi casi quasi la metà dei voti come lista presentata dagli azionisti di controllo, se non addirittura, come abbiamo visto in certi casi, anche di più”.

Per finire, egli fa un’ultima considerazione che forse può apparire impopolare. Si tratta comunque di un’idea che dovrebbe venir presa in considerazione seriamente e senza ipocrisia. I “pacchetti di compensazione” di amministratori indipendenti e di minoranza, in certe società non sono sufficienti. Il semplice tempo di presenza può sembrare importante, anche generoso, ma se si fa un attento calcolo solo in termini di ore che un consigliere dovrebbe dedicare al proprio lavoro, questo tempo risulterebbe piuttosto limitato e se si valutano le responsabilità e l’innegabile rischio reputazionale ed economico associati a tale ruolo, risulterebbe senz’altro inadeguato.

© RIPRODUZIONE RISERVATA


  • Condividi articolo:
button up site