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Insuccessi del modello di governance duale in Italia

La Riforma Vietti ha dato la possibilità alle imprese di dotarsi di un sistema di governance duale, fondato su un Consiglio di Sorveglianza ed un Consiglio di Gestione. Il nuovo sistema è stato utilizzato in un numero limitato di casi: secondo Assonime nel 2011 sette società quotate lo adottavano e le disposizioni statutarie riservano al Consiglio di Sorveglianza il potere di deliberare in ordine ai piani strategici, industriali e finanziari dell’emittente (ciò accade in sei società su sette, tra cui tutte le banche), quindi a non avere solo un ruolo di controllo ma di indirizzo strategico. Molto spesso il sistema duale è stato utilizzato nel caso di fusioni bancarie (per esempio, Intesa San Paolo, UBI Banca). E’ opinione diffusa che si sia trattato di uno strumento per evitare di ridurre il numero di consiglieri di amministrazione a seguito della fusione. Il caso più eclatante è stato quello di Mediobanca che ha implementato il nuovo sistema nel 2007 per poi tornare al precedente sistema l’anno successivo sostenendo che avesse complicato i meccanismi decisionali della banca. 

Il sistema duale è proprio della corporate governance tedesca (Mitbestimmung) nel quale è uno strumento centrale nella cogestione, attraverso la quale i rappresentanti sindacali partecipano al Consiglio di Sorveglianza: in tutti i settori nelle aziende con più di 500 dipendenti ai rappresentanti dei lavoratori è affidato un terzo dei seggi nel Consiglio di Sorveglianza e la metà dei membri in quelle con più di 2000 addetti.  

La mia opinione è che il fallimento della governance duale in Italia è proprio da riscontrarsi nel tipo di soggetti che sono rappresentati nei CdA. Se i soggetti sono solo gli azionisti (di maggioranza o di minoranza), i loro interessi sono sufficientemente simili (dato il loro carattere patrimoniale, anche se con alcuni contrasti) da essere rappresentati in un unico organo che si indirizzi il management che sovente è espressione della stessa proprietà. 
Se invece sia shareholders che stakeholders sono rappresentati è necessario creare un filtro tra questi ultimi soggetti e la gestione vera e propria della società, e quindi il sistema duale ha una sua logica che supera i costi di informazione e di transazione che si possono creare con l’esistenza dei due Consigli. In questo senso, quindi, una ripresa di questo sistema si otterrebbe solo se si andasse verso una forma di cogestione delle imprese anche in Italia. 

Indirettamente l’esperienza della Banca Popolare di Milano suffraga questa ipotesi: in questa banca l’Associazione Amici della BPM, espressione dei sindacati dei dipendenti, controllava attraverso il voto capitario l’elezione del management del gruppo e spingeva verso l’appropriazione di benefici privati per questi soggetti, con situazioni che sono oggi al vaglio della magistratura. Il gruppo di investitori intervenuto nel 2011 per ricapitalizzare la banca ha implementato il passaggio dal sistema tradizionale al duale in modo da creare un filtro tra la rappresentanza degli interessi dei lavoratori-azionisti e la concreta gestione della banca stessa.


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