Editoriale

Diversità e inclusione: si passi dalle parole ai fatti

Ambienti di lavoro più equi, più inclusivi per giovani, minoranze e background diversificati, rappresentano un vantaggio competitivo che non si può non sfruttare in particolare nel corso di questa delicata fase di rilancio post pandemica

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Con la crisi pandemica nel dibattito sulle nuove priorità affrontate dagli organi societari, il tema della diversità̀ e dell’inclusione ha registrato una notevole accelerazione e un cambio di paradigma. Mentre prima il tema sembrava essere sollevato più da aziende internazionali e primariamente in platee femminili e di specialisti di risorse umane, ora è molto più frequente ascoltare CEO, investors e perfino regolatori e autorità̀ pubbliche sulla necessità di affrontare in modo pragmatico e efficace una maggiore diversità̀ nel management e nella cultura inclusiva delle differenze di diverso tipo. Come si spiega questo nuovo livello di consapevolezza?

Certamente si tratta di un avanzamento da molti anni auspicato, ma che stentava fino a qualche mese fa ad imporsi come tema strategico.
Cerchiamo di capire i fattori che sono alla base di questo nuovo “tone from the top”.

Una prima spiegazione è da ricercarsi nella maggiore attenzione per le tematiche di sostenibilità̀. Con la maggior urgenza di integrare un percorso ESG nella strategia aziendale è evidente che la categoria social si è rivelata improvvisamente importante ma anche quella in cui le aziende si erano meno interrogate: il tema della diversità̀ ha in qualche modo rappresentato un quick win su cui focalizzarsi, almeno nelle intenzioni. Dopo tanta enfasi sulla diversità̀ dei CDA si sta finalmente ponendo l’attenzione sulla diversità̀ del management e su come creare ambienti di lavoro più equi (quanto a opportunità e remunerazioni) e più inclusivi di giovani, minoranze e background diversificati. Più diversità̀ e inclusione significa infatti più benessere per i dipendenti, più consenso tra gli stakeholder, più capacità di usare il talento come leva competitiva e innovativa.

Un altro elemento che ha favorito l’attenzione sulle diversità è l’attenzione per etica e buona governance, considerati fattori fondamentali per vincere le sfide della crisi. Molte organizzazioni si sono interrogate sull’adeguatezza della classe dirigente e hanno iniziato a guardare al ventaglio di competenze e esperienze a disposizione e a quelle mancanti. Stanno trovando più spazio i profili nuovi, caratterizzati da esperienze e profili diversificati e meno convenzionali, si vedrà se veramente ciò favorirà quel ricambio generazionale e quella internazionalizzazione di cui molte imprese che competano su mercati globali hanno un gran bisogno.

Un’altra spinta sta venendo dall’attenzione che istituzioni e regolatori hanno imposto sulla necessità di valorizzare talenti giovani e femminili per ripartire e per stimolare maggiore occupazione, sulla scarsità di profili professionali innovativi e adatti alle sfide tecnologiche. Non è casuale che lo stimolo a lavorare per più diversità e inclusione sia stato dato anche da alcune donne ai vertici delle istituzioni europee, certamente più sensibili alle difficoltà che ancora esistono ad assicurare un level playing field per le donne europee. Per la prima volta abbiamo visto autorevoli politici e uomini di imprese e istituzioni spendersi sul tema quando si parlava di business e non di celebrazioni dell’8 marzo. Vedremo se ai proclami seguiranno fatti concreti.

La pandemia ha posto al centro le persone e finalmente l’importanza del capitale umano ha fatto breccia persino nelle realtà più piccole, declinandosi in sicurezza e protezione, resilienza, agilità e flessibilità, tutte doti delle persone che hanno fatto la differenza nella capacità di reazione di fronte alle incertezze e discontinuità sperimentate negli ultimi 15 mesi. La crisi ha provocato una nuova consapevolezza su quanto ogni strategia di recupero debba tener conto della capacità di dotarsi, sviluppare e motivare le persone e di creare una cultura inclusiva badata su valori agiti e non solo annunciati.

Infine gli investitori hanno posto la sostenibilità al centro delle loro decisioni, non solo riconoscendo che le aziende più resilienti sono quelle che già hanno abbracciato un percorso ESG, ma anche facendosi portatori di istanze dei diversi stakeholder quali i consumatori, le comunità̀, i dipendenti. Temi quali equità, nuovi paradigmi economici, purpose e valori hanno iniziato ad essere comuni tra grandi e piccoli investitori e asset owners, imponendo alle aziende un dialogo nuovo e allargato dalla performance finanziaria al successo sostenibile di medio e lungo termine. Il trade off tra creazione di valore e sua distribuzione, tra risk appetite e profitability, tra performance e reputazione sono sempre più al centro del dialogo con gli azionisti, al punto da stimolare perfino i piccoli fondi attivisti a cercare punti di fragilità su cui innescare potenti cambiamenti. La diversità è solo uno dei tanti temi che si innesta in questa dialettica seppur più sfidante e intensa.

Come possono i CDA incidere sull’accelerazione di una vera cultura inclusiva e valorizzante delle diversità? Porre il tema nella definizione di nuovi modelli di business e percorsi strategici, evitando che ESG sia un comparto a se stante ma sia pienamente integrato nel lavoro del CDA. Insistere per un ricambio generazionale e una maggiore attenzione al talent management e ai succession plans, integrando criteri di merito e di sviluppo di talenti e competenze nuove.

Lavorare a piani di compensi più equi e meno orientati a variabili finanziarie, partendo dal concreto avanzamento di kpi legati ai valori, alla cultura, al perseguimento di obiettivi specifici ESG. Farsi infine portatori di esempi che vengano dall’alto e che siano simbolici in un cambio di rotta, osando anche fare cambiamenti organizzativi in senso meno gerarchico e più trasformativo.

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