Rassegna stampa

Dicono di noi

Sono questi i due argomenti che continuano a tener principalmente banco e sui quali Nedcommunity interviene sempre più spesso trovando spazio sui principali quotidiani che la citano come autorevole punto di riferimento.

Questo è proprio il caso dell’articolo pubblicato dal Sole 24 Ore, martedì 23 settembre (titolo: “Responsabilità sociale, primi passi dentro i cda”, pag. 23). Il pezzo si basa su un’indagine condotta da Csr management network in collaborazione con Nedcommunity e realizzata da un gruppo di ricercatori di Altis, l’Alta scuola impresa e società dell’università Cattolica, sul livello di coinvolgimento dei consigli di amministrazione introno ai temi della corporate social responsability.

La ricerca sulle imprese quotate nell’indice Ftse Mib mette in evidenza che il 90% delle società che hanno risposto al questionario, ha adottato un codice etico, con relativi impegni, soprattutto in materia ambientale. Nel 64% dei casi il cda ha definito e comunicato erga omnes gli impegni. Il 77% pubblica un report di sostenibilità, che è passato per l’approvazione direttamente in consiglio. Il 38,7% dei membri del cda sono destinatari di formazione periodica in tema di responsabilità sociale. Due su tre sono aggiornati su base sistematica riguardo ai rischi socio-ambientali connessi all’attività dell’impresa. Certo rimane ancora tanto da fare come emerge dal confronto con l’estero: nel 53% delle prime aziende quotate a Londra il cda è impegnato direttamente nelle politiche di Csr, mentre in Italia solo per il 15% dei casi i temi di sostenibilità sono assegnati esplicitamente al livello più alto della struttura gerarchica. Va però aggiunto che in un Paese come l’Italia, caratterizzato da una diffusa rete di piccole e media imprese, molte pratiche e iniziative che potrebbero essere classificate nell’ambito della Csr non emergono.

Sul ruolo degli indipendenti si segnala l’articolo a firma del componente del collegio dei saggi di Nedcommunity nonché coordinatore editoriale di questa rivista, Franco Morganti, pubblicato da Mf martedì 5 agosto (titolo: “I consiglieri indipendenti stanno dimostrando di essere molto più che dei financial gigolò”, pag. 14, con richiamo in prima pagina). Nell’articolo viene ricostruita l’evoluzione di questa figura ricordando che “in Italia i primi esempi si sono avuti nel 1995 con le prime privatizzazioni, ma soprattutto con il Codice di autodisciplina di Borsa italiana nel 1999, quando nel nostro Paese di public company non esisteva neanche l’ombra”. “Da allora gli amministratori indipendenti hanno preso corpo e identità, rafforzati dal Codice e dalla partecipazione ai Comitati del consiglio di amministrazione e hanno condotto una continua battaglia a favore della trasparenza e contro i conflitti di interesse, la vera malattia cronica del mondo finanziario e non solo di questo”. Oggi sono sempre di più anche le aziende che con il tramonto dei patti di sindacato e la maggiore presenza dei fondi di investimento italiani e stranieri si avvicinano al modello delle public company. “Valgano i casi di Prysmian, Brembo, Buzzi, Gtech, Autogrill”, continua Morganti. La scommessa è una: “Assogestioni – si legge – dovrà presto decidere, o far decidere ai propri associati, se questa importante presenza in assemblea debba preludere, esattamente come nel mondo anglosassone, anche a un ruolo nella scelta del management”.

Il Sole 24 Ore di martedì 14 luglio ospita un intervento del presidente Paola Schwizer (Rubrica Forum, pag. 23). Il tema affrontato è quello della diversity. La Golfo/Mosca, scrive Schwizer “è un buon inizio. La legge ha inaugurato un dibattito sull’opportunità di aprire i cda a nuovi talenti e di selezionate i candidati in base al merito con procedure più strutturate. Il vero cambiamento si avrà quando la diversity sarà considerata da tutti un pilastro delle strategie aziendali”. Schwizer rivendica il ruolo dell’associazione nell’alimentare questi temi: “In Nedcommunity, l’associazione degli amministratori indipendenti che presiedo, favoriamo lo scambio d’esperienze e cerchiamo di sviluppare buone pratiche e nuovi modelli culturali, trasversali al genere. Le donne presenti, quasi un terzo dei soci, si confrontano con visioni più consolidate e promuovono l’innovazione, guidando alcuni importanti working groups con risultati che non finiscono di stupirci”.

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