Altri articoli

Convegni

Il governo societario delle banche tra regole e cultura, è il convegno organizzato da Nedcommunity in collaborazione con Unicredit, svoltosi a Milano il 23 Gennaio 2020. In apertura dei lavori, Cesare Bisoni, Presidente di UniCredit, ha ricordato

Il governo societario delle banche tra regole e cultura

Il governo societario delle banche tra regole e cultura, è il convegno organizzato da Nedcommunity in collaborazione con UniCredit, svoltosi a Milano il 23 Gennaio 2020.

In apertura dei lavori, Cesare Bisoni, Presidente di UniCredit, ha ricordato Fabrizio Saccomanni e la sua convinzione che per le banche “sistemi di governance ben strutturati siano essenziali anche in considerazione del fatto che gli interessi che gravitano intono a una banca sono più ampi e articolati rispetto a quelli di un’impresa industriale in quanto includono il sostegno alle imprese, la tutela del risparmio e la protezione del circuito finanziario da possibili infiltrazioni illegali”.

Saccomanni improntò la buona governance in Unicredit basandosi su alcune linee guida essenziali, come una chiara allocazione dei compiti e dialettica interna al board, controlli interni efficaci, flussi informativi tempestivi e completi, incentivi corretti.

Disporre di un governo societario che decide rapidamente e di una struttura organizzativa capace di capire e rendicontare le attività intrapresa è diventato un dovere non più rinviabile per le banche, ha proseguito Bisoni. Molte grandi aziende oggi sono public company e la valutazione degli investitori si basa sempre più su criteri come i meccanismi di governo, il livello di trasparenza, di professionalità ed eticità e la capacità di interagire con i diversi stakeholder. La governance societaria è alla base della reputazione di un’azienda, condizione ancor più importante per le banche che devono mantenere un alto grado di fiducia. Una governance societaria forte e ben strutturata è parte integrante del brand di un’azienda e permette di avere un focus strategico più preciso e meglio comunicato, oltre ad assicurare che la performance manageriale sia più efficacemente supervisionata e incentivata.

Del resto, la cattiva governance è da sempre, e da più parti, indicata come una delle cause della crisi finanziaria. La regolazione ha contribuito in vasta misura all’evoluzione della governance bancaria ma da sola non basta se non affiancata da una cultura aziendale imperniata su trasparenza e fondata su solidi valori che fa funzionare al meglio i meccanismi regolatori. Regole e cultura devono procedere di pari passo. È sul fronte culturale la sfida più grande che le banche devono affrontare, perchè da questa dipende la capacità di creare valore sostenibile nel lungo periodo.

Nella sua introduzione ai lavori, Maria Pierdicchi, Presidente Nedcommunity, ha auspicato che l’evento, partendo dalla presentazione del libro del prof Ferrarini, si ampliasse in un confronto con i presenti per capire se le regole che nell’ultimo decennio sono diventate sempre più numerose per le banche, hanno prodotto dei benefici. In particolare, se hanno innescato un cambiamento culturale che ha prodotto miglioramenti nelle performance dei board, nello sviluppo di una cultura del rischio, nell’affermazione di stili di leadership più efficaci, in sintesi, se hanno aiutato a fare passi avanti nel percorso verso una buona governance.

A Guido Ferrarini, Presidente del Comitato Scientifico di Nedcommunity, il compito di presentare il suo volume ‘Governance of Financial institutions’ a cura di vari autori, nel quale vengono trattati, tra i gli altri, i temi della regolamentazione, della cultura e della leadership e il loro impatto sulla governance di un’azienda di credito. L’analisi delle regole deriva dalla convinzione che quello delle istituzioni finanziarie è il settore dell’economia in cui la corporate governance è più condizionata dalle regole. Ci si è chiesti quale sia la interrelazione tra governance da un lato, regolazione e cultura dall’altro lato e come la governance e la regolazione possano promuovere la cultura e viceversa.

La crisi finanziaria è stata attribuita al fallimento della corporate governance, al fallimento dei sistemi di risk management, ad eccessive remunerazioni – intese come non allineate agli interessi dell’istituzione finanziaria – e, infine, ad una non adeguata leadership. Problemi riconducibili in parte alla cultura d’impresa che portano a consigliare una supervisione della cultura nelle istituzioni finanziarie, sull’esempio dell’autorità olandese di vigilanza che ha istituito un dipartimento specializzato nella supervisione della cultura.

Ferrarini è passato poi ad esaminare alcuni dei temi chiave nell’analisi della governance delle istituzioni finanziarie, come il rapporto tra governance e supervisione, affermando che non c’è dubbio che la corporate governance sia un complemento della supervisione, anzi, la corporate governance serve l’interesse dei supervisori in aggiunta all’interesse degli azionisti e di altri stakeholder.

Sul ruolo della regolazione, ha proseguito affermando che all’interno della regolazione necessaria alla correzione di alcune pratiche risultate fallimentari, ci sono situazioni che destano qualche perplessità, come la regolazione stringente in ambiti quali le remunerazioni, dove i regolatori fissano in modo obbligatorio la struttura della remunerazione – le percentuali di remunerazione fissa e variabile, il differimento nella corresponsione del variabile – e in Europa, almeno per le banche, hanno fissato il cosiddetto bonus cap.

Una stakeholder governance quella delle banche, nella definizione di Ferrarini, che non deve far dimenticare, tuttavia, che le istituzioni finanziarie, al pari delle aziende industriali, devono massimizzare il valore per gli azionisti, sia pure su una base di medio-lungo termine. Da tener presente, inoltre, che gli amministratori non sono rappresentanti di specifici stakeholder come ad esempio i depositanti, ma possono definirsi come dei trustees, dei fiduciari in senso lato che rispondono in base ai dettami della regolazione prudenziale per la protezione dei depositanti.

Infine la cultura, altro grande tema affrontato nel libro. Partendo da due definizioni di cultura ‘la cultura è il modo in cui si fanno le cose in una certa istituzione’ e‘la cultura è la raccolta di valori condivisi e norme accettate da un determinato gruppo’, Ferrarini prosegue affermando che nella cultura aziendale ha un ruolo preminente la leadership perché il leader di una istituzione finanziaria, come di ogni altra istituzione, disegna l’anima dell’organizzazione trasmettendo i valori e le condizioni. Il leader dovrebbe dunque dare all’azienda uno scopo alto e nobile che trascenda i risultati finanziari e che sia quello di servire i clienti, i dipendenti e la società in generale. La cultura, quindi, promossa e incentivata dal leader, diventa fattore chiave nell’etica dei comportamenti e nella corretta gestione di rischi.

Ma in che misura l’affermazione di regole di condotta può non solo avere un impatto sulla condotta ma anche sulla cultura? È tema difficile, secondo Ferrarini, perché solo il rispetto delle regole nella convinzione che siano efficaci (e non solo atto formale), accompagnato da un cambiamento di valori, possono generale una cultura diversa e il board, ancora una volta, ha un ruolo fondamentale nella valutazione e promozione del cambiamento culturale.

Ferrarini conclude affermando che dopo la crisi i regolatori e i governi hanno forse ecceduto ed è giunto il tempo di pensare ad un fine tuning mirato all’introduzione di un principio di proporzionalità che consenta l’applicazione delle regole in relazione alla dimensione delle istituzioni finanziarie chiamate ad applicarle.

La parola passa a Carmine Di Noia, Commissario CONSOB, che ha effettuato un’attenta disamina della normativa attuale in materia di informazione finanziaria e market abuse regulation (MAR) e degli effetti sulla corporate governance delle banche. Il legislatore europeo, ha affermato Di Noia, sta procedendo in misura crescente con regolamenti, estremamente dettagliati e che non lasciano spazio al regolatore nazionale per una contestualizzazione legata al Paese. In merito al tema sempre attuale del conflitto tra trasparenza e stabilità, ha proseguito Di Noia, la crisi finanziaria ha portato a stabilire un ordine di priorità tra stabilità e trasparenza con un regime speciale per le banche.

Il giornalista Riccardo Sabbatini, moderatore della tavola rotonda, ha inquadrato in apertura lo scenario della discussione tra governance e regole affermando che il regolatore dovrebbe tenere in maggior conto l’esigenza delle banche di creare profitti per gli investitori auspicando quindi un ridimensionamento dell’attività del regolatore che, a seguito della crisi, ha imbrigliato sempre più i board lasciando margini di autonomia modesti.

Piergaetano Marchetti, Professore emerito Università Bocconi, ha aperto il suo intervento con una citazione di Carlo Azeglio Ciampi che, nella sua veste di governatore della banca d’Italia, disse che la nostra storia è caratterizzata dalle oscillazioni continue di un pendolo tra regolamentazione e autonomia privata: l’importante è evitare che di volta in volta il pendolo tocchi gli estremi. Proseguendo nel suo escursus sulla regolamentazione del settore, a partire dal TU della finanza del 98, Marchetti ha poi delineato brevemente le oscillazioni del sistema da una regolamentazione meno ‘stringente’ verso il periodo attuale, post crisi, che vede una regolazione molto più pressante.

Per Alessandra Perrazzelli, Vice Direttore Generale della Banca d’Italia, le sfide oggi per le banche italiane sono molteplici, legate a fattori di mercato di portata mondiale – concorrenza non bancaria di piattaforme tecnologiche che offrono servizi retail, finanziari e assicurativi – che si combinano alla riduzione della profittabilità delle banche e al loro ritardo nell’adeguarsi ai cambiamenti tecnologici che ormai si impongono. La regolamentazione resta molto forte e, sebbene il nostro sistema bancario venga visto come rafforzato rispetto al passato, occorre affrontare la grande sfida del momento di accompagnare le banche verso una rivoluzione tecnologica che implica anche dei rischi importanti come quello cyber o il rischio legato all’ambiente. Resta infine da presidiare il tema delle piccole banche, realtà molto radicate nei contesti e fondamentali per la stabilità di gran parte del territorio nazionale.

Alla domanda di Sabbatini se sarebbe appropriato lasciare ai board maggiore autonomia per consentire maggiore flessibilità alle banche, anche alle più piccole, Massimo Tononi, ex Presidente di Borsa Italiana, replica che l’attuale assetto imponente della regolamentazione è condivisibile perchè le banche hanno una leva finanziaria molto più elevata di una realtà industriale e le banche di grandi dimensioni, in caso di problemi, possono produrre effetti molto negativi sull’economia di un Paese. È tuttavia essenziale, per Tononi, recuperare il principio di proporzionalità citato da Ferrarini, che assicura alle banche di minori dimensioni una regolamentazione adeguata.

Tononi prosegue affermando che se il regolatore ha inteso affidare alla corporate governance delle banche un ruolo importante di supporto alla tradizionale supervisione finanziaria c’è una ragione: il board è investito di oneri e responsabilità estese per prevenire l’assunzione di rischi eccessivi a tutela degli azionisti, dei contribuenti e dei creditori e per preservare la stabilità del sistema. Il problema è che nei fatti, la massimizzazione del valore per gli azionisti presuppone l’assunzione di rischi più o meno rilevanti e Tononi ritiene che l’individuazione del punto di equilibrio ottimale tra valore per gli azionisti, salvaguardia dei creditori e tutela della stabilità del sistema, debba essere responsabilità condivisa dai regolatori e dai board. Ciascuno deve portare il proprio contributo ma deve anche spogliarsi della volontà di tutelare solo le proprie prerogative.

Il regolatore ha come missione quella di mantenere la stabilità del sistema finanziario. Il board ha il compito complesso di mediare le richieste provenienti da tutti gli stakeholder: requisiti imposti dal regolatore; aspettative degli azionisti; ambizioni del management; salvaguardia dei creditori; esigenze delle imprese che le banche finanziano. Perché tutto questo possa essere realizzato con efficacia da un board, ha concluso Tononi, ci vuole una continua condivisione e un grande lavoro di squadra.

A Paola Schwizer, Professore ordinario Università di Parma e SDA Bocconi, il compito di affrontare il tema del fit & proper test per la selezione dei consiglieri. Il test in Italia sembra non funzionare al meglio, esordisce Schwizer, anche perché, a differenza degli altri paesi Europei, non è possibile farlo ex ante perché lederebbe i diritti degli azionisti. Fatto ex post, a nomina del consigliere avvenuta in assemblea, la BCE difficilmente procede alla revoca. Quali soluzioni, allora, per la composizione di un board performante? Schwizer propone alcune alternative che vanno dalla valutazione delle prestazioni dei suoi membri da parte del board – in occasione dell’autovalutazione annuale – a una valutazione da parte del JST, che incontra regolarmente i consiglieri delle banche, ad un’ultima soluzione mutuabile dal sistema olandese che prevede il giuramento del consigliere al quale può essere revocato il requisito di onorabilità, e quindi il fit & proper, nel caso di mancato rispetto del giuramento.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

(*) Maritana Rinaldi – Associata Ned, membro del Comitato Editoriale della Rivista e responsabile Marketing e Comunicazione di Nedcommunity. Laurea in Scienze Politiche e master in Studi Europei e in Business Administration. Inizia la sua carriera nel Gruppo l’Espresso, poi in Manpower e dal 2011 business consultant.

([email protected])


  • Condividi articolo:
button up site