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Chief Geopolitical Officer: una figura indispensabile per i Cda

Prima la pandemia, poi la guerra in Ucraina hanno messo le imprese davanti ai rischi di un mondo e di un mercato sempre più globalizzati nei quali sapersi muovere richiede competenze specifiche, anche nei board

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Lo scoppio della guerra in Ucraina e l’alterazione dei flussi commerciali, energetici e finanziari che, all’interno della massa eurasiatica, ne è conseguita, hanno posto i protagonisti della governance aziendale e i registi delle diverse strategie d’impresa di fronte a un quesito non nuovo ma, sinora, rimasto privo di una trattazione sistematica: quanto, nel modo di fare impresa del XXI secolo, l’agire informato da parte degli amministratori deve tenere in considerazione la politica internazionale?

Centralità variabile

Rispetto al successo o al fallimento di particolari strategie d’impresa, la geopolitica – in tempi recenti, termine abusato e utilizzato impropriamente – assume un peso variabile in base alle epoche. Non è sempre uguale, insomma. Salvo che, rispetto all’attuale struttura dei mercati e il livello di mutua dipendenza tra stati che connota l’economia globale, un’adeguata comprensione della politica internazionale appare imprescindibile per qualsiasi decisore.

Da un lato gli amministratori operano in un contesto esterno complesso. Dall’altro, delineare una strategia d’impresa costituisce un processo che, in ultima istanza, è imperniato sulla semplificazione. Da una lettura selettiva e in certa misura arbitraria della realtà, infatti, deriveranno comportamenti e decisioni dai quali dipenderanno il successo e la sostenibilità di un certo business. Va da sé, dunque, che a seconda del momento e di come si caratterizzeranno il tipo di business, i mercati e la congiuntura sociale e politica interna e internazionale, tale lettura semplificata della realtà tenderà a considerare alcune variabili piuttosto che altre, tra le quali anche quella impropriamente detta geopolitica.

Sino a poco prima dell’aggressione russa all’Ucraina, non si sentiva parlare di geopolitica né, tantomeno, tale termine o disciplina era messo generalmente in relazione con la strategia o la governance d’impresa. Quello che per gli analisti politici costituiva uno sviluppo più che plausibile delle tormentate relazioni tra Mosca e Kiev, dunque, non rappresentava neppure un tema in agenda per la gran parte delle imprese, né vi era la percezione che quanto è poi accaduto potesse condizionare gli esiti del loro business se non, in certi casi, la loro stessa sopravvivenza.

Tale atteggiamento, affatto insolito, appare al contrario prevedibile se si osserva quanto accaduto nelle fasi precedenti la crisi finanziaria del 2007-2008 e in seguito quando, nel 2016, la combinazione di fatti come la Brexit, la vittoria elettorale di Trump, il crollo del prezzo del petrolio e la paventata ‘frenata’ della Cina hanno nuovamente scosso i mercati. In quei casi, infatti, né i segnali delle crisi in arrivo, né – successivamente – la portata dei loro effetti erano stati sufficienti a portare un cambiamento culturale tra gli amministratori e all’interno dei consigli.

Probabilmente, data la portata sistemica di quegli avvenimenti qualunque tipo di esercizio predittivo da parte della governance aziendale si sarebbe rivelato solo minimante utile rispetto alla possibilità di approntare delle effettive contromisure. Tuttavia, definire una strategia e assumersi i rischi a essa collegati con un diverso livello di consapevolezza rispetto a certe eventualità e ai loro effetti impatta di per sé sulla strategia, rendendola potenzialmente più flessibile e reattiva rispetto ad eventuali crisi. Il più delle volte, insomma, le contromisure verso eventuali rovesci come, ad esempio, quelli generati dall’attuale conflitto in Europa, sono insite nella stessa strategia intrapresa da un’azienda. Tuttavia, ciò può verificarsi solo quando taluni scenari di mutamento politico siano stati presi in considerazione durante le fasi di elaborazione della strategia stessa. Essi, infatti, intervengono sulla valutazione delle opzioni decisionali effettivamente disponibili e sulla relazione costi/benefici/rischi associati a ognuna.

Mai ignorare la complessità

In un mondo nel quale la complessità è crescente, così come il livello di interconnessione tra aree geografiche, soprattutto per quanto concerne la supply-chain, il grado di controllo della singola azienda e dei suoi amministratori su certi macrofenomeni è praticamente annullato.

Tutto ciò potrebbe generare la percezione, errata, che quanto accada a Mosca, Pechino o a Perth nel suo essere incontrollabile possa, allo stesso modo, essere ignorato. Al contrario, maggiore è la complessità e minore il grado di controllo sull’ambiente esterno, maggiori sono gli strumenti e le informazioni vale la pena dotarsi al fine di intuire anche il più tenue dei segnali o la sfumatura in apparenza più irrilevante operando, di conseguenza, quelle scelte o aggiustamenti, anche al margine, dai quali potrebbe dipendere la differenza tra vittoria e sconfitta, tra il successo o il fallimento del proprio modello di business. Tra questi, quello del chief geopolitical officer appare dunque indispensabile, nonché di gran lunga il più remunerativo sul piano strategico nell’imminente futuro.  

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